D’Alema: se cade il governo doveroso cercare un’alternativa

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Tuoni e fulmini arrivano frattanto pure dalla ridotta di Arcore, dove la decadenza del Cavaliere dal Senato diventa «inaccettabile», «impensabile» e persino «incostituzionale», e il grido di dolore berlusconiano ha la voce di solito moderata di Angelino Alfano che, in fondo, sarebbe anche il numero due dell’esecutivo. Il meteo-Letta volge al peggio? Sospira D’Alema, che sarebbe venuto a Todi, nella splendida Sala del Capitano, a parlare di vasto mondo e Medio Oriente, di arabi e israeliani («Terra di Palestina», recita il calendario del Festival che qui celebra la ventisettesima edizione, patron Silvano Spada) e si ritrova invece prigioniero della classica schizofrenia mediatica secondo la quale un politico italiano sempre e solo di Italia può parlare, pena l’irrilevanza.
Dunque sfoga la frustrazione confezionando origami e sbotta: «Follia! Voglio sperare che nessuno sia così folle e irresponsabile da fare cadere il governo adesso». Beh, Alfano l’ha messa giù dura… «È il punto di vista di Alfano. La questione non è oggetto di trattativa politica per il partito per il quale… simpatizzo, il Pd» (risolini dell’uditorio). «Per noi si tratta di applicare la legge. Poi in Parlamento ognuno voterà». In verità, lui stesso, dalla festa pd di Narni, aveva pronosticato vita politica non lunghissima al giovane premier («non dura», salvo mezza smentita a seguire). Sognando di poter parlare in santa pace di Arafat e Abu Mazen, l’eterno leader degli ex ragazzi della Fgci si acconcia ad aggiustare (in parte) il tiro su Letta: «Il governo fa un lavoro utile per il Paese e spero che vada avanti, per l’economia, le riforme, la legge elettorale…». Dunque, tutto chiarito? Il «nipote dello zio», come Grillo chiama il presidente del Consiglio, ha una sponda sicura? Macché: «Certo, questo governo ha un compito limitato, di transizione. La prospettiva del Paese non può essere il governissimo». Rieccoci, dunque. Come un eterno origami che si disfa appena lo finisci.
Il pomeriggio di Todi si consuma veloce nell’attesa del leader. «È la star del festival», confessa l’assessore alla Cultura di qui, il rifondarolo Andrea Caprini. E, in effetti, trovare un buco nella Sala del Capitano è un’impresa da concerto rock. L’affetto lo avvolge, e D’Alema si rilassa un po’, rievocando la seconda Intifada con padre Ibrahim Faltas, il francescano ribattezzato «Frate Telefonino» quando raccontò al mondo l’assedio della Chiesa della Natività nel 2002. Tuttavia l’ombra di Renzi si allunga minacciosa su un serio dibattito di politica estera più di un missile degli Hezbollah. Se l’erano dette di tutti i colori, col Giamburrasca del partito. È loffio, l’aveva bollato lui, quando il giovanotto venuto dagli scout voleva rottamarlo. Poi, la svolta. Conferma l’endorsement al sindaco di Firenze?, chiedono insaziabili i cronisti. D’Alema sbuffa contro questa «conferenza stampa permanente» ma, bontà sua, si mostra paziente: «Non ho fatto nessun endorsement». Notizia? Macché: «Ho solo detto che sarebbe il candidato verso cui andrebbe la maggioranza degli elettori. Ma sono sei mesi che lo dico, ah ah» (risolino contro i cronisti disattenti). Qualcuno azzarda: dopo Letta, non potrebbe esserci un Letta bis? «Sarà Napolitano a deciderlo». E se ci sono le elezioni? «Ci saranno le primarie. È chiara la distinzione? Perché alcuni di voi fraintendono, anche in malafede…».
Nella Sala del Capitano, naturalmente, va meglio, perché almeno per un’ora e mezza le miserie della nostra politica svaniscono e si parla di drammi veri. Siria, Palestina, Israele. L’Egitto. «In Egitto c’è stato un golpe, mi aspetterei che l’Europa lo condannasse. Invece in Europa non c’è stato nessuno in grado di dirlo chiaramente. E l’Europa così perde di credibilità, avendone già pochissima». Volendo, può leggersi come una critica anche al governo italiano. Volendo, l’eterno origami può ricominciare. Catiuscia Marini, presidente della Regione, è una fervente ammiratrice del leader; gli gioca tuttavia un brutto scherzo e anticipa tutti, chiudendo il dibattito: «Cosa ci aspetta in Italia quest’autunno? Ci regali una previsione». Lui prova a schivare: «Uff… ma che c’entra?». Poi si rassegna: «Bisogna capire cosa succede ad Arcore». Le agenzie su Alfano son lì, ad aspettarlo.
Goffredo Buccini


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