Arretrati, le Regioni sono le più lente Dai Ministeri versati 2,6 miliardi

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ROMA — Sono da sempre le più lente in un Paese già lumaca di suo: 10 mesi per saldare una fattura, con punte di tre anni in Calabria. Roba da sentirsi male a guardare la Finlandia, che avrà pure chiesto in garanzia il Partenone per aiutare la Grecia, ma i suoi debiti li paga in giorni 24. E allora non sorprende se finora le Asl, le aziende sanitarie locali, erano ferme al palo: zero euro versati a più di due mesi dalla conversione in legge del decreto che ha sbloccato 20 miliardi di euro per coprire i vecchi debiti della pubblica amministrazione. Eppure, finalmente, qualcosa si muove.
«Proprio in questi giorni stiamo procedendo ai primi versamenti», dice Valerio Fabio Alberti, presidente della Fiaso, la federazione delle Asl. Il segnale è arrivato anche al ministero dell’Economia che controlla lo stato di avanzamento dei lavori e all’inizio di settembre aggiornerà le tabelle pubblicate poco prima di Ferragosto. Un dato importante perché i debiti delle Asl e più in generale delle Regioni valgono una bella fetta dell’arretrato che lo Stato si è impegnato a saldare entro il 2013. E perché se si muovono gli ultimi della fila, si può ancora sperare di rispettare la road map di un’operazione che al momento ha fatto solo un quarto della sua strada. Sui 20 miliardi di euro stanziati dal decreto per il 2013 finora ne sono stati effettivamente versati 5. I più veloci a pagare sono stati proprio i ministeri: sui 3 miliardi di loro competenza ne sono stati pagati già 2,6.
Meno bene le Province e i Comuni, che comunque su 6,8 miliardi ne hanno versato uno e mezzo. Il vero problema sono le Regioni, che su dieci miliardi non sono arrivate nemmeno a uno. Ed è proprio in questo capitolo che ci sono le Asl, visto che la sanità è materia di competenze dei governatori. Perché questo ritardo? Non è solo che c’è una tappa in più, visto che i soldi devono andare prima dallo Stato alle Regioni, poi dalle Regioni alle Asl e poi, finalmente, alle aziende che aspettano una boccata d’ossigeno. E non è nemmeno un problema di particolare lentezza della burocrazia regionale, visto che vizi e virtù sono equamente ripartiti su tutti i livelli della pubblica amministrazione. Il vero problema sta a monte perché è lo stesso decreto a prevedere una procedura più complessa per le Regioni, sia per i debiti sanitari sia per tutti gli altri. A differenza di ministeri e Comuni, prima di pagare le Regioni dovevano preparare una sorta di piano di ammortamento, con una serie di misure per coprire le somme ricevute dallo Stato a titolo di prestito. Il Molise, solo per fare un esempio, ha deciso di aumentare il bollo auto, a dimostrazione che i soldi non vengono fuori dal cilindro e che alla fine tutto si paga. Che i versamenti delle Asl siano partiti è una buona notizia non solo per le aziende che aspettavano da tempo ma anche per tutti i cittadini. In questo settore la montagna di arretrati è concentrata in tre Regioni, Lazio, Campania e Calabria, dove ci sono addirittura 2 miliardi di euro pignorabili. La Asl non paga e allora l’azienda si prende il macchinario per la tac con tanti saluti a chi è in lista d’attesa? Per fortuna le cose non sono così semplici.
Dice la legge che, in caso di pignoramento, si procede per gradi: prima la liquidità in cassa, poi gli immobili, e solo se questo non basta allora si passa ai beni strumentali. Alla tac, insomma. Ma, per quanto difficile, l’ipotesi non è impossibile. Poche settimane fa la Corte costituzionale ha bocciato la norma che dal 2009 vietava il pignoramento dei beni di Asl e ospedali nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro per aver sforato il deficit sanitario. Uno scudo pensato proprio per evitare che il sacrosanto diritto di un’azienda, avere i soldi che gli spettano, si trasformasse nella negazione di un altro diritto, altrettanto sacrosanto se non di più, quello alla salute da parte del cittadino. Adesso questo scudo non c’è più. E, sarà solo una coincidenza, ma le Asl stanno cominciando a pagare. Ma non ci sono soltanto gli arretrati.
Mentre fatichiamo a saldare i vecchi debiti, quelli maturati fino alla fine del 2012, la pubblica amministrazione italiana sta accumulando nuovi debiti, per i contatti chiusi dall’inizio di quest’anno. Sono fuori dalle somme stanziate con il decreto ma dentro, dentro fino al collo, alle lentezze della burocrazia italiana. Con un rischio in più. L’Italia ha recepito la direttiva europea che fissa a 30 giorni il tempo massimo per il pagamento delle fatture. Ma per il momento siamo al libro dei sogni e le Asl, ancora una volta, sono quelle messe peggio: «Con le regole attuali rispettare quel limite è materialmente impossibile» ammette di nuovo il presidente della federazione delle aziende sanitarie. Bisognerebbe regolare i cosiddetti flussi di cassa, le procedure che fanno passare i soldi dallo Stato alle Regioni e poi alle aziende sanitarie. Al momento ogni anno viene fissato il fondo nazionale che va poi ripartito fra le singole Regioni. Una procedura macchinosa che comporta ritardi e rinvii. E poi, non solo per le spese sanitarie, c’è il grosso scoglio del patto di stabilità che limita le uscite degli enti locali. Chi non rispetta i paletti fissati da Bruxelles si vede bloccate le assunzioni, congelata la spesa corrente, tagliate del 30% le indennità degli amministratori. Sanzioni più pesanti rispetto agli otto punti di tasso di interesse aggiuntivi previsti dalla direttiva per chi non paga entro 30 giorni. La tentazione è forte: altro che pagare subito, non pagare proprio, poi si vedrà. Pochi giorni fa il vice presidente dell’Unione Europea, Antonio Tajani, ha detto che chi non rispetta il limite dei 30 giorni rischia una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles. A carico dell’Italia ce ne sono già 106. E la Finlandia sembra ancora molto lontana.
Lorenzo Salvia


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