«Non mi faranno tacere, la crisi dipende dal Pd»

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ROMA — «Se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare di chi è la colpa se poi la barca sbanda?». Silvio Berlusconi rompe il suo silenzio e con una metafora si affida alla fisica per spiegare quali rischi il governo corra, scaricando le responsabilità di un’eventuale crisi al buio sul Pd, che avrebbe invece nella Costituzione gli strumenti per evitarla.
«Diranno che è colpa mia», dice, avvertendo che le eventuali dimissioni in massa dei ministri del Pdl non sarebbero altro che una diretta conseguenza, azione e reazione, del «massacro giudiziario del loro leader eletto da milioni di italiani».
Un nuovo intervento dell’ex presidente del Consiglio sui dubbi e le ipotesi sul futuro suo e del governo, dopo la condanna in Cassazione, lo si aspettava da giorni, ed eccolo all’indomani del faccia a faccia tra il premier Enrico Letta e il vice Angelino Alfano. In un’intervista a Tempi , che sarà in edicola il 5 settembre, ma che è stata anticipata sul sito proprio nel giorno dell’arrivo di Alfano al Meeting di Rimini, Berlusconi mette in chiaro i termini della questione: «La Costituzione e il buon senso offrono molte strade».
Una frase che poi tocca ad Alfano declinare. Sulle possibili vie d’uscita per la cosiddetta «agibilità politica» del leader del Pdl il ministro dell’Interno è molto chiaro. Arrivando all’evento annuale di Cl, chiama le cose con il loro nome: «Noi chiediamo che il Pd rifletta, astraendosi dalla storica inimicizia di questi venti anni, sulla opportunità di votare no alla decadenza di Berlusconi». Chiedendo «una valutazione giuridica» e non politica, di non dare un voto «contra personam», in sostanza la condizione per il prosieguo del governo è di non pronunciare «una sentenza politica sull’avversario storico». Parole che possono sembrare definitive, dopo avere appurato, nel vertice di mercoledì con Letta, che non ci sono margini per un voto del Pd favorevole al Cavaliere. E che, però, stridono con quelle scritte in serata dal ministro Maurizio Lupi, tra le colombe del Pdl, che su Twitter ha sottoscritto «con forza l’appello del premier Letta»: «C’è bisogno di traghettare il Paese in una fase nuova!».
Nella lunga intervista su Tempi , che dedica un accenno anche a uno «choc economico positivo» da adottare «nei prossimi 50 giorni» e alla riforma della giustizia, Berlusconi non fa alcun accenno ai potenziali spiragli che hanno tenuto banco nel dibattito politico degli ultimi giorni. Concedendosi una stoccata al giudice Esposito, che ha presieduto il collegio, e alla sua intervista a il Mattino, ha però aggiunto : «Se avessi voglia di sorridere, potrei dirle che “non possono non saperlo” vale per tutti gli attori politici e istituzionali». La giunta del Senato che voterà sulla sua decadenza, la Consulta chiamata in causa per un’interpretazione della legge sull’incandidabilità, la grazia del presidente della Repubblica? Sono opzioni che Berlusconi non cita, mettendo bene in chiaro che in ogni caso non accetterà una vita da esiliato.
«Comunque vadano le cose — ha tuonato il Cavaliere — possono farmi tutto, ma non possono togliermi tre cose». Tutte e tre sintetizzabili con quel «non mollo» che ha pronunciato più volte negli ultimi tempi: mantenere il diritto di parola sulla scena pubblica e civile italiana, «animare e guidare il movimento politico che ho fondato» ed essere «ancora il riferimento per milioni di italiani, finché questi cittadini liberamente lo vorranno». E non sarà solo un padre nobile, tantomeno abdicherà in favore della figlia Marina: «Una leonessa» nelle uscite pubbliche di questi mesi, cui però da genitore ha consigliato «con amore e con lungimiranza» di non scendere in campo.
Nelle domande del direttore di Tempi e nelle risposte del Cavaliere, infine lo sfogo contro una sentenza «infondata, ingiusta, addirittura incredibile» e il riferimento a «una guerra di vent’anni che i magistrati di sinistra hanno condotto contro di me». Una guerra perenne tra Berlusconi e «le toghe rosse». Con l’Anm, l’associazione nazionale magistrati, che ieri è intervenuta per difendere la categoria e denunciare il «linciaggio mediatico» di una parte della stampa, gli attacchi che «evocano le liste di proscrizione» e puntano a «neutralizzare le conseguenze» della sentenza Mediaset.
Melania Di Giacomo


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