Merkel nel lager di Dachau «Nostra vergogna perenne»
BERLINO — Kohl respinse l’invito, a Dachau ci andrà lei. E si è fatta precedere da un forte messaggio contro l’antisemitismo e il razzismo, «una minaccia continua per la democrazia». Angela Merkel sarà la prima cancelliera tedesca a visitare Dachau, in Baviera, il campo di concentramento dove fece la sua iniziale apparizione la sinistra scritta in metallo «Arbeit macht frei». Era il marzo 1933, poche settimane dopo l’ascesa al potere di Hitler, e le strutture costruite in una ex fabbrica di munizioni in disuso, non lontano da Monaco, diventarono poi un modello per tutti gli altri lager dove i nazisti realizzarono il loro folle programma di sterminio.
Ottanta anni dopo, queste ferite sono ancora aperte. La cancelliera ne è ben consapevole. La sua decisione — in piena campagna elettorale e dopo le risposte alle polemiche sulla sua «educazione comunista» durante la giovinezza trascorsa in Germania Est — è stata ispirata da «un sentimento di vergogna e costernazione» perché quello che accadde negli anni hitleriani «continua ad essere inconcepibile». Nel tradizionale intervento trasmesso su Internet ogni sabato, la donna più potente del mondo ha significativamente collegato l’orrore del passato ai rigurgiti estremisti del presente, ricordando il processo in corso ai sopravvissuti della cellula neonazista che si macchiò degli spietati «omicidi del kebab» e al fatto, altrettanto inconcepibile, che le istituzione ebraiche in Germania debbano essere sorvegliate notte e giorno dalla polizia. «Bisogna rimanere vigili», ha detto, aggiungendo che tanto il governo di Berlino quanto la società tedesca non smettono di temere «molto seriamente» il pericolo rappresentato dai gruppi di estrema destra. «Questa ideologia non deve trovare spazio nella nostra Europa democratica», ha proseguito, guardando anche fuori dai confini del proprio Paese.
Angela Merkel arriverà a Dachau martedì 20 agosto. Farà un breve discorso, deporrà una corona di fiori al memoriale, visiterà il campo. Con lei, oltre al ministro dell’Istruzione e della Cultura bavarese Ludwig Spänle, il presidente della comunità degli ex internati, Max Mannheimer, che ha espresso grande apprezzamento per questo «segnale di rispetto molto importante per tutti» e ha sottolineato «il drammatico incremento» dell’attività criminale delle bande neonaziste in Germania. «Sarà una presenza che servirà a ribadire che quanto è successo non potrà mai essere dimenticato», ha osservato Mannheimer, 93 anni, sopravvissuto all’Olocausto. È stato lui a invitare l’estate scorsa la cancelliera. Un mese fa, finalmente, il sì definitivo.
Tra il 1933 e il 1945 nel campo di concentramento bavarese furono recluse 200.000 persone sotto la diretta supervisione di Heinrich Himmler. In un primo tempo oppositori politici, poi anche ebrei, zingari, omosessuali, religiosi, testimoni di Geova. I morti sono stati 41.000. Eliminati, torturati o vittime delle ignobili condizioni di prigionia. A Dachau fu fucilato, nel 1945, anche George Esler, che sei anni prima aveva tentato di uccidere Hitler con un attentato dinamitardo in una birreria di Monaco. Come un monito per tutti, il profilo stilizzato di Elser si staglia da qualche anno nella Wilhelmstrasse, a Berlino, dove si trovava il quartier generale del Terzo Reich. Il falegname svevo era l’uomo che voleva risparmiare ai tedeschi gli orrori cui sarebbero stati poi protagonisti o testimoni silenziosi. Il viaggio di Angela Merkel servirà non solo a ricordare, ma a rendere meno forte il ricordo di quel silenzio. E a porre un nuovo argine contro i nemici di oggi.
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