IL VIRUS RAZZISTA

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Scriveva John Stuart Mill nell’introduzione del Saggio sulla soggezione delle donne (1869) che l’idea che la donna sia inferiore nell’intelletto e nelle capacità è così diffusa e radicata da apparire a tutti (perfino alle sue vittime) naturale: poiché istintiva e irriflessa, essa deve essere naturale! Diversamente come potrebbe annidarsi con tanta spontaneità nelle menti di milioni di persone? È vero proprio il contrario: quel pregiudizio è una costruzione sociale, tutto fuor che naturale e spontaneo. Creato dalle relazioni di potere tra dominatori e dominati per renderle – questo il vero obiettivo – così spontanee da farle accettare senza sforzo. Lo stesso accade con tutti i pregiudizi: l’eterosessualità è la condizione naturale; la razza bianca è naturalmente superiore; il genere maschile ha una naturale disposizione alla leadership; i settentrionali sono naturalmente più intraprendenti … e si potrebbe continuare, con una lista davvero lunga al punto che perfino tra gli uguali salterebbe fuori prima o poi una ragione di discriminazione. Si parte dall’umanità per cercare le forme inferiori e si arriva alla gente del proprio villaggio, tra la quale certamente albergano dei reietti. La logica del razzismo è quella dell’esclusione e si diffonde a macchia d’olio, per cui non si finisce mai di escludere.
La pericolosità del razzismo deriva dalla sua facilità di attecchire, alimentato da ignoranza e rifiuto di riflessione. È una gemmazione della pigrizia mentale, il consolidamento di un’atavica tendenza ad orientarsi nel mondo senza troppo sforzo. A Zurigo, nella civilissima e bianchissima Svizzera, qualche giorno fa la star della televisione americana (e una delle persone più ricche degli Usa), Oprah Winfrey è stata trattata come Julia Roberts in
Pretty woman: voleva acquistare una borsa da 28mila euro e si è sentita rispondere che era troppo costosa per lei, che avrebbe potuto comprare l’intero negozio. In Italia, continuano gli attacchi e gli insulti feroci al ministro Kyenge.
Il pregiudizio vive di inettitudine mentale e di faciloneria. Per questo rende il razzismo un codice di riconoscimento: i razzisti vanno d’accordo tra loro, si riconoscono e si attraggono; rinforzano le loro credenze a vicenda. Proprio perché genera emulazione il razzismo non è mai un fenomeno isolato: infatti, se una persona ha il coraggio di rivelarsi razzista in pubblico è perché sa di poter contare sull’appoggio dell’opinione. Ecco perché quando si legge che l’ex leader della Lega Nord arringa i suoi a ricorrere ai fucili perché non si può riconoscere uno Stato che ha tra i suoi ministri una donna nera, occorre reagire. Non si possono rubricare quelle parole come un commento sbagliato, una frase infelice, un’uscita propagandistica folcloristica: il razzismo non è mai innocente. E umilia tutti.


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