Navi inglesi verso Gibilterra Ma la Spagna non arretra

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BRUXELLES — L’ultima volta, 425 anni fa, si fronteggiarono l’Invincibile Armada e sir Francis Drake. Ora se la vedranno gli avvocati. Il governo inglese ha minacciato ieri una causa legale internazionale contro quello spagnolo («un passo senza precedenti», ammette Londra), per i troppi controlli e balzelli imposti ai turisti che vogliono visitare Gibilterra, 30 mila abitanti, territorio britannico d’oltremare; e il governo spagnolo si prepara a fare altrettanto, appellandosi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia o all’Onu (soprattutto alla «cugina» Argentina che già combatté gli inglesi per le Falkland, nel 1982, e ora siede come membro non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Assemblea). Schiamazzi in una bagneruola, sembrerebbero. Ma intanto, ieri, 11 navi da guerra britanniche con nomi come «Puma» e «Glorioso», e con migliaia di commandos a bordo, sono salpate da Portsmouth alla volta di Gibilterra: «eserci-tazione prevista da tempo, permessi già concordati con il Regno Unito», è la motivazione ufficiale. Però il sindaco di Londra Boris Johnson si augura: «spero che non sia una coincidenza», e per distendere gli animi, aggiunge: «Giù le mani dalla Rocca». I due Paesi sono entrambi membri della Ue e della Nato, invocano entrambi le leggi Ue. E una delegazione della Commissione europea si recherà sul posto a fine mese per cercare di vederci più chiaro. Colei che alla fine dovrebbe fare da giudice è la «ministra» degli Esteri Ue, la baronessa Catherine Ashton, britannica come un bel rene cotto nella birra (o bocconcino «steak and kidney», uno dei piatti inglesi più tradizionali). E certo non conosciuta per il suo astio contro la Royal Navy o Downing Street. In due parole: a Madrid, si manifesta qualche preoccupazione sulla serenità del giudizio conclusivo. Ma tutto sommato, lady Ashton ha anche fama di mediatrice pacata, e in grado di cogliere razionalmente i diversi interessi in gioco. Se c’è qualcuno capace di mettere in fila i vari orgogli nazionali che qui si fronteggiano, probabilmente è lei.
La baruffa è nata da certi blocchi di cemento buttati a mare dai pescatori di Gibilterra. Una specie di muro affastellato con grande rabbia dei loro colleghi spagnoli, tenuti lontani dai branchi più grassi di pesce: le rotte dei tonni sono note da millenni, da quando ancora l’Ue non era neppure un sogno, e chi vuol far danno sa bene dove colpire. Davanti allo sgarbo, prontamente, la Spagna ha allungato a dismisura i controlli doganali alle frontiere e ha minacciato di introdurre «biglietti» da 50 euro a ogni entrata ed uscita: «Siete inglesi? Allora non appartenete all’area Schengen e i controlli per noi sono un obbligo». «No, sono sproporzionati e politicamente motivati», ha risposto Londra. «Noi non torniamo indietro». E così, da bisticcio fra tonnaroli, il problema è diventato una vera disputa diplomatica. Per esempio, ma per ora è solo una voce balzana, Madrid starebbe pensando di chiudere il suo spazio aereo ai voli diretti a Gibilterra. E poi, come si accennava, il suo governo ha discretamente consultato quello argentino, che all’Onu potrebbe rappresentare una pedina preziosa: l’idea è di chiedere all’Assemblea un dibattito sulla sovranità britannica su Gibilterra e le Falkland. Un passo più in là, e qualcuno potrebbe pensare di convocare come testimone anche sir Francis Drake.
Luigi Offeddu


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