La scuola delle parole
PARIGI. Una piuma raccolta sull’asfalto. Miguel aveva incominciato così il suo primo racconto. C’era una volta un uccello migratore che aveva affrontato tempeste, venti contrari e, dopo una lunga traversata nei cieli, era finalmente arrivato sano e salvo in Italia. Guardava con stupore il nuovo mondo ma non riusciva mai del tutto ad scrollarsi di dosso la nostalgia del suo paese natale.
Basta davvero poco, anche solo una piuma. Quando Francesca Frediani porta i suoi piccoli alunni a spasso per Milano a caccia di «indizi di storia» sa che tornerà con favolose parabole di vita. Miguel è uno dei tanti figli di immigrati che ha frequentato la Grande Fabbrica delle Parole, una ong che usa la scrittura creativa come strumento di integrazione. «È un ribaltamento di prospettiva: anziché subire, questi ragazzi diventano padroni della narrazione» spiega Frediani, responsabile del progetto italiano. La lingua è spesso la vera patria. Imparare a mettere parole su emozioni e pensieri è davvero il primo
passo per sentirsi italiani.
Un’idea semplice e rivoluzionaria, che viene da quel laboratorio di tendenze che è la California. A San Francisco, dove lo scrittore Dave Eggers ha aperto con altri colleghi 826 Valencia: l’indirizzo della strada dov’è stato creato il primo doposcuola per piccoli autori, soprattutto bambini ispanici che si sono cimentati con storie di mostri e fatine, elaborando un nuovo sogno americano. Poi è arrivato The Ministry of Stories a Londra, patrocinato da Nick Hornby con l’ambizione di educare nell’East End una nuova «storytelling generation». Nel frattempo i laboratori creativi si sono moltiplicati un po’ ovunque: Fighting Words in Irlanda, Vox Prima in Spagna, Buch-Pilotent in Austria, Berattarministeriet in Svezia.
Il procedimento è sempre lo stesso: dare la parola a bambini, testimoni inascoltati e talvolta sommersi da stereotipi, violenze gratuite, discriminazioni striscianti, super-eroi fin troppo perfetti. È raro che in famiglia o a scuola ci sia tempo per «decostruire» i tanti messaggi e modelli contraddittori che piombano addosso alle nuove generazioni. «Anche noi adulti ci sentiamo un po’ impotenti rispetto a un grande racconto impersonale che sembra più forte di tutti e tutto», spiega Eggers che ha avuto la scintilla parlando con sua madre e sua sorella, entrambe maestre.
Lo scrittore americano aveva osservato da vicino la frustrazione di chi, insegnando nelle scuole, si rende conto di non poter dare attenzione sufficiente
ai bambini, soprattutto a quelli più in difficoltà per estrazione sociale o perché non hanno ancora una completa padronanza della lingua. «La scrittura è la prima cosa che rende liberi», dice ancora Eggers che nel frattempo ha lanciato il progetto a New York e in molte altre città americane. Lo scrittore ha scoperto che non si tratta solo di un servizio reso all’infanzia. «Anche noi abbiamo tanto da imparare», aggiunge con un pizzico d’invidia: perché, a differenza di tanti adulti, i piccoli scrittori raramente hanno il panico della pagina bianca.
Le diverse ong che lavorano sulla scrittura dell’infanzia si organizzano diversamente. C’è chi si rivolge solo agli alunni delle scuole elementari e medie di quartiere, come Ministry of Stories, e chi apre a tutti le iscrizioni. «Abbiamo una lunga lista d’attesa», spiega Sean Love che dirige l’irlandese
Fighting Words: un nome che è un programma per un Paese lacerato da una lunga guerra, in cui le ferite si ereditano. I risultati sono sempre sorprendenti, superiori alle attese, almeno per chi ha dimenticato quale pozzo di fantasia si nasconda nella mente infantile.
Si può partire da un incipit, oppure proporre già il finale, come fa Vox Prima in Spagna. O ancora, fare una passeggiata in città per trovare «indizi di storia» come fa l’Ong milanese prima di tornare nell’anfiteatro Martesana, dove si tengono gli incontri. Niente gabbie di stile o temi prestabiliti. Ogni volta, si offre un contenitore più o meno generico nel quale poter inserire liberamente i propri contenuti. Per sprigionare il racconto di viaggi fantasmagorici e incredibili avventure bastano anche solo due ore, la durata media dei laboratori creativi. Alla fine, i bambini ripartono con un libro nello zaino: sulla copertina c’è stampato il loro nome, accanto alla loro fotografia. «È un simbolo forte e potente: sentono che la cultura non è qualcosa di astratto, ma è alla portata di tutti», racconta Francesca Frediani, 34 anni, che ha studiato scrittura creativa a New York.
La Grande Fabbrica delle Parole ha aperto con l’aiuto dell’editore Terre di Mezzo. Il sostegno economico è uno dei punti più delicati per queste associazioni, tutte rigorosamente no profit, che lottano per difendere la fantasia e la voce dei bambini. In alcuni casi, come a Londra, c’è il sostegno delle istituzioni pubbliche. In altri, viene chiesto un piccolo contributo ai genitori. Le diverse associazioni europee stanno cercando di creare un network internazionale riconosciuto dall’Ue con appositi finanziamenti.
Il diritto alla libertà d’espressione è iscritto nella Costituzione e chissà perché è così poco tutelato nella crescita di futuri cittadini. Non ci accorgiamo neppure quanto i bambini siano condizionati da giornali e notizie. Quando c’è stata la crisi della spazzatura a Napoli, le storie dei piccoli milanesi sono diventate piene di bidoni e monezza. Poi c’è stata Vallettopoli e anche in quel caso, soprattutto per le bambine, c’è stata una trasformazione di fatine e altre protagoniste delle favole, improvvisamente più discinte. Dall’inizio della crisi, i personaggi hanno incominciato a «vivere sotto i ponti», un’espressione che i bambini hanno sentito usare in casa o alla televisione e riportano testuale nelle loro favole.
I laboratori creativi aiutano a elaborare e riflettere sul flusso di fatti di cronaca che rischia di sovrastare la loro fantasia. «All’inizio c’è un pudore nell’inventare nuove storie — dice Frediani — i bambini quasi ci chiedono il permesso». Ma appena capiscono di avere campo libero, gli scrittori in erba si scatenano, riportando in prosa la loro esperienza diretta. Un ragazzino ha costruito così una favola su un pallone da calcio, il suo gioco preferito quando stava in una bidonville dell’Ecuador e del suo primo goal, anni dopo, nell’oratorio dell’hinterland milanese.
«La scrittura è un potente mezzo per rafforzare la fiducia in se stessi», riassume la responsabile italiana. Sono già 3mila i bambini che hanno frequentato l’associazione che ha sede nella zona di via Padova e può contare sull’aiuto di oltre 120 maestri volontari. Come all’estero, anche in Italia ci sono autori che vengono per fare «lezione». Sono stati organizzati incontri con Michela Murgia, Fabio Geda, Silvia Ballestra, tra gli altri. E con le domande che i bambini hanno posto agli scrittori è stato pubblicato un divertente volume di storie nella storia, Quanti libri scrivi in una settimana?.
Uno degli slogan coniati da Eggers: “Ispirare e ispirarsi”. Uno scambio quasi alla pari. Ogni scrittore è un po’ bambino, ed è vero anche il contrario.
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