L’assist dell’ermellino

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Esposito ha poi smentito di aver pronunciato le frasi più direttamente riferibili al merito della sentenza Berlusconi. Ma non ha potuto rimediare al pasticcio. Il Mattino ha confermato tutto e ha pubblicato una registrazione che persino peggiora la posizione del giudice. E dunque non si può non convenire con il primo presidente della Cassazione o con quello dell’Associazione magistrati che da diverse posizioni hanno definito «inopportuna» l’intervista. La gaffe di Esposito non incide certo su un giudizio ormai perfezionato, ma l’anticipazione delle motivazioni della sentenza è comunque clamorosa. Una sentenza che sembrava non lasciare scampo al cavaliere. CONTINUA|PAGINA3 E già prima di lui si erano fatti intimidire dal «tintinnio di sciabole» i socialisti penetrati nelle presunte stanze dei bottoni con il primo centrosinistra.
Intanto altri ricatti avvenivano e avvengono sottotraccia nelle sentine del potere occulto; quello piduista e poi l’altro della grande criminalità mafiosa a fronte di una classe politica tremebonda e imbelle (come processi in avvio si faranno carico di chiarirci. Sempre non li si fermi per tempo…).
Eppure mai parlamento e Paese sono stati ostaggi come in questo momento, visto che le bande di sequestratori sono almeno tre.
Situazione allarmante e al tempo stesso grottesca, intimamente ridicola; con gli equilibri di governo quale vittima dell’estorsione.
Il primo capobanda – al solito – è Silvio Berlusconi; il quale, dopo aver imprigionato per un ventennio nel tubo catodico un elettorato di piccoli mastri don Gesualdo terrorizzati dalla presunta minaccia che «gli si voleva mettere le mani nelle tasche», ora gioca l’ultima partita del dopo Cassazione agitando la belluinità di falchi e pitonesse contro la Giustizia. Roba già vista ma sempre di una certa efficacia, seppure in attenuazione.
Purtroppo il secondo capobanda è quello che avrebbe in mano la chiave per azzerare il ricatto berlusconiano: il duo Beppe Grillo e GianRoberto Casaleggio, così ossessionati da schemi farlocchi e farneticazioni fantasy da non rendersi conto che sta passando l’ultimo treno per un M5S intenzionato a sbloccare il quadro politico in ostaggio: promuovere un governo di personalità fuori dalla mischia (tipo Stefano Rodotà) che faccia quelle poche cose necessarie e poi ci porti alle elezioni. Ma il vacanziero di Costa Smeralda Grillo risponde con le solite battute sui «Pd più o meno elle» che pari sono. E non capisce che il Pd è quello che è, ma la politica (non la commedia dell’arte) sarebbe metterlo in condizione di dover fare quello che è necessario fare.
Forse chiediamo troppo al leader a 5 stelle e al suo consulente, che purtroppo hanno sequestrato con i loro parlamentari pure la possibilità di svoltare davvero.
Infine la terza banda è quella che ci imprigiona la mente all’insegna della stabilità come ossessione, il vecchio mito di un ceto politico fanatizzato dall’idea che governare è sinonimo di «quieta non movere»; che la classe politica è composta da manovratori da non disturbare.
Strani sequestri, sinergici e intrecciati; che producono conseguenti sindromi di Stoccolma sotto forma di linguaggio. Patologia che affligge i rispettivi pubblici di supporter/prigionieri e si rivela al solo sentirli parlare.
I berluscones di base, adunati domenica scorsa sotto palazzo Grazioli, parevano tanti Capezzone e Biancofiore nel sostenere la scempiaggine che condannare un criminale è un attacco alla democrazia se costui ha manipolato mediaticamente qualche milione di voti.
I grillini si esprimono solo ripetendo pappagallescamente le gag linguistiche lanciate dal loro guru. Con un particolare entusiasmo per l’uso fascistoide della storpiatura del nome al posto di un’argomentazione fuori portata per il livello della loro cultura politica.
Gli adepti del Supremo Colle e delle sue propaggini governative usano parole magiche – tipo riforme, ripresa dello sviluppo, risanamento – prive di qualsivoglia attinenza con la realtà. Visto il mandato di Letta jr. e soci di durare al puro scopo di durare (e consentire alla corporazione trasversale dei politici di rimettere sotto controllo la situazione).
Il tutto come effetto di un ulteriore sequestro: della politica da parte della pubblicità.


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