Casa Bianca, l’escalation della paura evacuata l’ambasciata nello Yemen ma ora l’incubo è l’esplosivo liquido

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NEW YORK — L’ordine arriva quando negli Stati Uniti è l’alba, le televisioni e i siti lanciano la breaking news: «Il Dipartimento di Stato ha deciso di evacuare il personale dell’ambasciata a Sana’a, nello Yemen». Poche ore dopo un grande aereo dell’aviazione militare preleva i diplomatici e li porta verso la destinazione finale, la base di Ramstein in Germania, da sempre punto d’appoggio chiave per le operazioni sul fronte orientale. Gli inglesi fanno lo stesso. L’allerta sale di un altro gradino ed è la conferma che, come ripete da giorni Washington: «Le minacce sono credibili, serie e in un avanzato stato di progettazione». Ormai è chiaro che all’origine dell’allarme c’è l’intercettazione di un messaggio del capo di Al Qaeda Ayman al-Zawahiri, che ordina al suo vice Naser al-Wuhayshi «di fare qualcosa di grosso entro il 4 agosto». La data è passata, non la paura.
Gli Usa temono due differenti strategie: un attentato e violente manifestazioni di protesta organizzate come quelle di Bengasi in Libia. Per questo il Dipartimento di Stato continua a lanciare avvertimenti anche ai cittadini americani e li invita ad essere prudenti, a lasciare le zone a rischio: «Ma non è previsto alcun piano di evacuazione ufficiale», come spiega il portavoce Jan Psaki che poi, in risposta alle critiche del governo yemenita, aggiunge: «Abbiamo ridotto il personale della nostra ambasciata, che però rimane operativa, di fronte ad un pericolo concreto e grave. In questo momento l’unica preoccupazione è proteggere i nostri uomini».
Lo Yemen resta il fronte caldo. Qui opera la cellula più forte della nuova Al Qaeda, chiamata Aqap: al suo vertice il saudita Ibrahim al-Rubaish e soprattutto Ibrahim al Asiri, che è il nuovo incubo per l’intelligence Usa, come anticipato domenica dalla Cnn e confermato ieri da tutti i media. Trentun’anni, chimico provetto, è l’inventore di un particolare tipo di esplosivo liquido che, una volta spalmato sui vestiti del kamikaze,
non viene rilevato dai sistemi di sicurezza: capace di ingannare sia i cani perché inodore, sia i raggi X e gli scanner. C’è lui dietro il fallito attentato di Faruk Abdulmutalleb, che tentò di abbattere l’aereo diretto a Detroit nel Natale del 2009. Allora l’attacco fu sventato, ma lo scienziato di Al Qaeda in questi anni ha perfezionato la sua tecnica, come avrebbero rivelato ai servizi alcuni infiltrati nella sua cellula.
Washington assicura che «tutte le misure di protezione sono attivate e sono le migliori possibili». Ma fonti della sicurezza rivelano che sono stati aumentati i controlli sui voli cargo provenienti dall’Europa, altra tattica usata in passato dallo stesso gruppo terrorista. E negli Stati Uniti, dopo che la Homeland Security ha aumentato anche la sorveglianza interna, nelle stazioni dei treni, alle fermate della metro e lungo le autostrade iniziano a vedersi pattuglie della Transportation Security Administration armate e con giubbotti antiproiettili.
Sul campo continuano i raid dei droni. Nella notte, nella provincia più povera dello Yemen, Marib, sono stati uccisi quattro jihadisti, tra loro un esponente di spicco: Saleh Jouti.
E anche il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, parla della minaccia terrorista: «Ci sono segnali di una ripresa delle loro attività. Anche noi abbiamo invitato i nostri cittadini ad essere prudenti, nello Yemen c’è un forte rischio di sequestri ». Come spesso avviene in queste situazioni falsi allarmi bomba si susseguono: in Europa tocca a Copenhagen e a Milano, dove è stato evacuato il consolato americano su segnalazione diretta dell’ambasciata di Roma.
Sono ore convulse, le ipotesi si inseguono. Alcuni analisti, ex agenti Cia, spiegano alla Fox che forse i servizi americani sono caduti in una trappola mediatica di Al Qaeda: «Volevano vedere come avremmo reagito. E comunque queste fughe di notizie continue sono un errore perché in questo modo diciamo al nostro nemico quello che sappiamo di lui». La paura continua.


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