Da Italo Balbo al narcotraffico
«Che bei fior carnosi, son le donne dell’Havana, hanno il sangue torrido, come l’Ecuador. Fiori voluttuosi come coca boliviana, chi di voi s’inebria ci ripete ognor: Creola dalla bruna aureola per pietà sorridimi che l’amor m’assal. Straziami ma di baci saziami mi tormenta l’anima uno strano mal». Così recitava Creola, composta nel 1926 da Ripp, pseudonimo di Luigi Miaglia.
La canzone venne portata al successo in quegli anni dalla sensuale Isa Bluette, una «sciantosa», come usava definire in quel periodo le artiste dei café-chantant. Isa aveva ispirato la canzone e la sua presenza sulla scena era magnificata da titoli quali Gatte di lusso, Donne, ventagli e fiori, Madama Follia, Il Paradiso delle donne, Mille e una donna. Nello stesso periodo, in Francia, furoreggia col suo stile inconfondibile la sfolgorante Joséphine Baker.
Sono facce della stessa medaglia coloniale che vede nel corpo della donna tropicale un ulteriore terreno di conquista, nel quale si potevano violare tutte le regole della civiltà, e spingere la trasgressione verbale sino a livelli inconcepibili per il parlare educato: la «bruna aureola» della canzone non si riferisce certo ad un improbabile attributo di santità. D’altra parte un eroe dell’avventura africana del regime, come Amedeo Nazzari nel ruolo dell’aviatore Luciano Serra nell’omonimo film sceneggiato, tra gli altri, anche da Roberto Rossellini, si sente dare del «maleducato» dopo aver pronunciato un semplice «accipicchia!».
All’epoca dei «telefoni bianchi» la «coca boliviana» era dunque ancora un semplice inebriante esotico che faceva pensare alle «donne dell’Havana», e non alla tirannia della droga contemporanea, tutta interna alle logiche del modello capitalista. «Creola dalla bruna aureola per pietà sorridimi che l’amor m’assal. Straziami ma di baci saziami mi tormenta l’anima uno strano mal». Così, forse, cantavano in una prefigurazione augurale anche gli aviatori italiani impegnati nel raggiungere la costa del Brasile spiccando il gran balzo dalla costa africana. Siamo nel 1931 anno IX dell’era fascista, ed i trasvolatori atlantici non immaginavano certo che nelle strofe di quel motivetto alla moda la «voluttuosa» polvere bianca boliviana di cui si cantava avrebbe dominato gli scenari futuri aperti da quella loro impresa.
Il monolite di Bolama
Nella città costiera di Bolama, in Guinea Bissau, su un’isola che si allunga sull’Oceano Atlantico, è ancora oggi possibile vedere, solitario ed imponente, inquietante nel suo anacronismo, un monolite con un grande fascio e due ali da aereo che la ricorda. È l’unica testimonianza del ventennio nell’Africa nera occidentale, pietrificato ricordo di quel «gesto arditissimo» come il Duce definì la trasvolata atlantica eseguita dai «fascistissimi idrovolanti Savoia Marchetti della squadriglia diretta da Italo Balbo spinti dai potentissimi motori FIAT A22». Siamo nel pieno della preparazione di quella avventura coloniale nel Corno d’Africa che scoppierà nel ’39 con la guerra in Etiopia; l’Italia mussoliniana insegue così le sue glorie «in cielo, terra e mare». Il Ministro dell’Aereonautica, sia civile che militare, è Italo Balbo: a 33 anni è il più giovane Ministro in Europa.
Quadrunviro della Marcia su Roma la sua carriera politica è rapidissima; subito si distingue come organizzatore dello squadrismo fascista nel ferrarese. Nel 1927 – lo stesso anno della prima trasvolata atlantica compiuta da Lindbergh – prende il brevetto di pilota, ed a questo punto comincia a concepire l’impresa che lo renderà famoso come trasvolatore atlantico. Le sue memorie aviatorie saranno poi condensate nel libro La centuria atlantica, in cui scompare qualsiasi traccia della popolazione locale, semplice stuolo di comparse sullo sfondo della «magnifica gloria del manipolo degli arditi trasvolatori». Esiste anche, immancabile, un filmato dell’Istituto Luce, che ritrae i volti schivi dei guineani, inconsapevoli che tutto quel rombare di velivoli avrebbe contribuito a cambiare, nel giro di appena due generazioni, la loro vita.
Nel dicembre del ’30 dunque, Balbo ed i suoi collaboratori studiano la rotta più diretta e percorribile per raggiungere il Brasile dalla coste africane. Dopo accurati studi di meteorologia viene tracciato un percorso che dall’Italia tocca Los Alcazares in Spagna, Kenitra nel Marocco francese, Villa Cisneros nel Rio de Oro o Sahara spagnolo, ed infine la città di Bolama nella Guinea portoghese; quest’ultima era la base più avanzata dell’Africa per attraversare l’Atlantico e puntare verso l’America del Sud, dove si trovava l’altra punta più vicina: Natal in Brasile, a circa 3000 km di distanza.
Bolama è una tipica cittadina coniale: gli spazi dei bianchi sono totalmente separati da quelli dei neri. Nella parte «civilizzata» spicca, tra le vilette immerse nelle bouganville, addirittura una palazzina costruita dall’architetto Eiffel. Sarà qui che Balbo installerà il suo quartier generale, per pianificare gli ultimi dettagli del volo. Finalmente, il 5 gennaio del 1931, i 14 idrovolanti della squadriglia si alzano in volo verso la loro meta. Sono carichi di combustibile oltre la linea di galleggiamento, ogni altro orpello è stato rimosso per renderli più leggeri. Balbo spicca il volo col primo aereo, seguito dagli altri; ma, dopo la lunga rincorsa verso il decollo, uno di essi cade, infiammandosi e inabissandosi nelle acque con tutto l’equipaggio: il capitano Luigi Boer, il tenente Danilo Barbicinti, il sergente maggiore Ercole Imbastari e il sergente Felice Nensi perderanno la vita.
Terminata con successo la trasvolata per gli altri 12 idrovolanti, uno deve ammarrare, al ritorno dall’impresa, il Duce stesso decide di far erigere il monumento solitario che ricordava la morte di quegli aviatori. Se si osserva il monolite, infatti, si intuisce la simbolica che sottolinea entrambi gli aspetti dell’avvenimento: il fascio littorio è in mezzo a due ali; una è eretta, a simboleggiare il trionfo, l’altra abbattuta, come l’idrovolante precipitato al decollo. La scritta ricorda la trasvolata nel nono anno dell’era fascista con la scritta A. IX E. F..
La rotta della coca
Italo Balbo e i suoi non potevano certo prevedere che la rotta da loro tracciata sarebbe stata poi percorsa, trent’anni dopo l’indipendenza di quella sperduta colonia portoghese, dai signori della coca, trasformando il Paese nel primo narco stato africano. Questo è oggi, secondo l’Office on drugs and crime dell’Onu (Unodc), la Guinea-Bissau – 176esima nella classifica dello sviluppo umano stilata dalle stesse Nazioni Unite. Mentre in Afghanistan e in Colombia solo alcune regioni sono in mano ai signori della droga, qui è l’intero Paese ad essere un approdo sicuro per i trafficanti.
Dopo l’indipendenza dal Portogallo nel 1973, la Guinea-Bissau è stata governata, sino al 1984, da un consiglio rivoluzionario di ispirazione socialista che cercava di assicurare alla popolazione le necessità di base. Dopo la caduta del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, che aveva attivamente sostenuto la guerra di liberazione, in onore al «nuovo corso» filo occidentale, nel 1994 si tennero le prime elezioni multi-partitiche che, però, non diedero i risultati democratici promessi da chi le aveva caldeggiate.
Nel 1998 una sollevazione dell’esercito porta alla caduta dello storico presidente “Nino” Vieira: la Guinea Bissau precipita così, con la sostanziale indifferenza dell’Occidente, in una endemica guerra civile che ha causato una lunga serie di colpi di Stato militari. Negli ultimi dieci anni il Paese si è dunque progressivamente impoverito trasformandosi in un perfetto campo di gioco per i narcos latino americani, che hanno gioco facile nel corrompere sia i fragili politici locali che le forze di polizia.
Riserva biosferica intossicata
Le 88 isole che formano l’arcipelago delle Bijagos, di fronte alle coste della Guinea Bissau, classificate dall’Unesco come riserva biosferica, sono oggi divise tra quelle che ospitano rifiuti tossici provenienti dall’Europa o dagli Usa – da qualche parte devono pur finire no?- e i narcotrafficanti che hanno trasformato le isole in basi avanzate del loro fiorente commercio.
Spesso la cocaina arriva direttamente all’aeroporto internazionale Osvaldo Vieira, omaggio all’eroe della liberazione, stipata in aerei come i Cessna e i Boeing 727, oppure sbarca presso le isole, a due ore di nave da Bissau o, ancora, atterra direttamente sulle strade statali che, per l’occasione, vengono chiuse al traffico. A chi si avventura di notte per queste strade capita di essere fermato «per controlli» ad un posto di blocco che viene levato dopo qualche ora, a scarico concluso. Si calcola che oggi, in Guinea-Bissau, l’economia illegale superi quella legale, dando a questo piccolo Stato africano un triste primato mondiale. La droga prende poi le vie aeree del Sahara, quelle stesse tracciate da Italo Balbo, e giunge fino in Europa.
Chi adesso arriva a Bolama e si ferma dinanzi al grande fascio che frammezza le due ali spezzate in ricordo dei trasvolatori atlantici non può che riflettere amaramente sulle tragiche ironie che ci consegna la storia.
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GUINEA-BISSAU Golpe su golpe
Nota un tempo come Guinea portoghese, la Guinea-Bissau, uno degli stati più piccoli e poveri dell’Africa, è divenuta indipendente dal 1974 in seguito a una lunga guerra di liberazione condotta dal Partito Africano per l’indipendenza della Guinea e di Capo Verde (Paigc). Amilcar Cabral, fondatore e leader del partito, madre guineana e padre capoverdiano, era stato assassinato l’anno prima, il 20 gennaio del 1973, a Conakry, capitale dell’altra Guinea, quella francese. Suo fratello Luis, primo presidente post-indipendenza, è stato rovesciato nel 1980 da un golpe guidato dal capo di Stato maggiore Joao Vieira, che dopo aver convertito il Paese all’economia di mercato e malgrado le accuse di autoritarismo e corruzione nel 1994 si impone nelle prime presidenziali. Nel 1998 anche lui viene rovesciato e il Paese scivola nella guerra civile. La mediazione internazionale e l’intervento di peacekeeper africani porta nel 2000 all’elezione di Kumba Yala, il quale verrà destituito nel 2003 con un golpe militare. Due anni dopo nel palazzo presidenziale torna Vieira, il quale però verrà ucciso nel marzo del 2009, durante l’ennesimo putsch.
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