“Così la mafia ha messo le mani su Roma”
ROMA — La mafia esiste. Anche a Roma. E Roma se ne accorge in un’alba di arresti (51) sul suo mare, di sirene tra i falansteri di Nuova Ostia, di elicotteri della polizia in volo notturno e motovedette al largo, di manette che decapitano due delle tre famiglie padrone da sempre del litorale, i Fasciani e i Triassi. Di sigilli a concessionari di auto, centri di bellezza, ristoranti, forni, sale slot, società per la commercializzazione all’ingrosso del pesce. Già, a Roma la mafia esiste. Suona come una banalità. Ma, al contrario, la “scoperta” ha la forza rivoluzionaria di annichilire un luogo comune secondo cui, dai tempi lontani della Banda della Magliana, nella capitale, il crimine organizzato parlasse ormai solo il dialetto dei “malacarne” di Cosa Nostra, quello ’ndranghetista o dei Casalesi. E questo, mentre la mafia di Roma, al contrario, trafficava in stupefacenti a tonnellate, ne ripuliva i profitti con l’usura, l’acquisto di esercizi commerciali, le attività balneari sul litorale, fino a mangiarsi appunto uno dei suoi municipi (Ostia) e il suo mare. Mentre, insomma, si faceva Stato.
LA “SCOPERTA”
Hanno dunque buoni motivi il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, il sostituto Ilaria Calò e il capo della squadra Mobile Renato Cortese a rivendicare il “primato” della scoperta e la sua forza, materiale e simbolica. «Da quando sono arrivato 16 mesi fa — dice Pignatone — questa è la prima indagine in cui viene contestata l’associazione mafiosa». Ancora più esplicita il gip Simonetta d’Alessandro nelle sue due ordinanze di custodia cautelare e sequestro. «A Ostia, mafiosi sono gli oligopoli dei flussi finanziari derivanti dal narcotraffico; mafiosi sono gli organigrammi; mafioso il controllo del territorio; mafioso il vincolo di intimidazione; mafiosa la pervasione dell’economia nella quale a centri di imputazione del tutto apparenti si sovrappongono circuiti decisionali occulti; mafioso il tentativo di accaparramento delle concessioni amministrative per la gestione della costa e del porto, con il supporto di accessi inconfessabili ». A Ostia, nessuno vede, sente, parla. Anche lo Stato. E per troppo tempo, se è vero – come annota ancora il gip – che «per anni è mancata la chiarificazione». Politica e giudiziaria. Al punto, che «lo scempio del sistema, il saccheggio dei beni pubblici stava per compiersi e in forme non riparabili». E al punto da «lasciare stupefatti che tutto ciò diventi oggetto di indagine solo nel 2012, quando la visibilità sfacciata dei fatti, per l’attenzione alle scelte governative prestata dai sodalizi criminali, non consente più soluzioni quietistiche».
GLI ARENILI E IL DECRETO TREMONTI
Già, perché l’incipit di questa storia nera è nel “la” di una scelta politica. Nel decreto Tremonti dell’ultimo governo Berlusconi che, traducendo una direttiva europea sulle concessioni balneari, stabilisce il principio secondo cui i privati che fossero risultati assegnatari di una concessione al 2015 ne avrebbero goduto con diritto di edificare per i successivi 90 anni. Agli occhi dei clan, è un Eldorado. È l’opportunità irripetibile di creare un indotto speculativo di durata “secolare” in riva al mare per completare il ciclo del reimpiego dei profitti del traffico di stupefacenti. A Ostia, si immagina un “Waterfront” che deve trasformare il lido in una luccicante colata di cemento. Con un casinò e un nuovo porto per barche di lusso. Chi ha un piede sull’arenile ha una fiche alla roulette dello “sviluppo”. È l’innesco che scatena una guerra di intimidazioni (15 roghi di stabilimenti in un anno), e poco importa che, nella sua forma definitiva, il decreto fissi le concessioni in “soli” 20 anni.
COCA, ARMI, SECONDI LIVELLI
In un anno di indagini, due pentiti, Carmine Spatuzza e Sebastiano Cassia, contribuiscono a ricostruire due lustri di “pax mafiosa” tra i Fasciani, gli Spada e i Triassi, già luogotenenti dei Cuntrera Caruana di Cosa Nostra, “i Rotschild della mafia”. A individuare le rotte delle armi dai Balcani e del narcotraffico dalla Spagna, da dove la coca arriva via terra a quintali, con generose clausole di pagamento a 60 giorni. A mettere a fuoco la rete dell’usura, ingrassata da un «untuoso rapporto con gli istituti bancari» da cui partono segnalazioni su chi è “cotto” e dunque pronto a essere preda dello strozzo. Ma un anno di indagine promette anche di essere il primo passo verso un “secondo livello” di cui negli atti si trovano già indizi. Come colloqui in Senato “con persone presentate dal senatore Grillo”, come le “elevate personalità, anche militari”, evocate nei colloqui intercettati. Vedremo. Certo, «la pax mafiosa – per dirla con le parole del capo della Mobile – è finita».
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