Il ministro Bonino e il caso kazako Le tre mosse da fare subito

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È stata una appassionata militante radicale, impegnata nella promozione dei diritti umani e civili. Ma negli anni trascorsi alla Commissione di Bruxelles ha dato prova di prudenza e concretezza.
Due diverse caratteristiche non sono necessariamente incompatibili, ma espongono Emma Bonino a sospetti maliziosi e a critiche malevole. È una ragione di più per agire rapidamente e con fermezza. Credo che i suoi obiettivi debbano essere almeno tre.
Il primo è quello di mettere ordine nelle relazioni fra il ministero dell’Interno e il ministero degli Esteri. L’insistenza e l’invadenza dell’ambasciatore kazako non giustificano l’accoglienza che gli è stata riservata dal Viminale e dalla Questura di Roma. Le sue petulanti interferenze avrebbero dovuto allertare i funzionari del ministero dell’Interno, dimostrare che il caso aveva risvolti internazionali e richiedeva continui contatti con la Farnesina. Se i contatti non vi sono stati, come sembra evidente, occorrerà evitare che casi analoghi si ripetano in futuro. Emma Bonino ha il diritto e il dovere di pretendere che il ministero degli Esteri sia informato e consultato ogniqualvolta una vicenda è destinata ad avere ricadute sui rapporti internazionali del Paese.
Il secondo obiettivo è quello di fare comprendere al governo kazako che il suo ambasciatore a Roma non è più «persona grata» e che diverrebbe, se continuasse ad occupare la sua posizione, un ostacolo alla ricostruzione dei rapporti fra i due Stati. Non è necessario attendere le spiegazioni del Kazakistan. Il fatto che l’ambasciatore Yelemessov non abbia risposto alla convocazione di Emma Bonino dimostra implicitamente che non avrebbe saputo come rispondere alle sue domande e che è diventato un interlocutore inutile. Forse basterà fare sapere ai kazaki che il suo ritorno a Roma, in queste circostanze, sarebbe, oltre che sgradito, controproducente. Per lui le porte degli uffici ministeriali italiani resterebbero chiuse.
Il terzo obiettivo è il più importante e
il più delicato. Occorre che l’Italia si comporti in questa vicenda come l’avvocato difensore di Alma Shalabayeva. Siamo stati raggirati, abbiamo subito danni morali, abbiamo tutti i titoli necessari per agire nell’interesse della persona frettolosamente deportata e di noi stessi. Non sappiamo se il governo italiano riuscirà ad ottenere il suo ritorno a Roma in tempi brevi. Ma dovrà fare comprendere che i modi di questa sconcertante vicenda gli hanno conferito l’obbligo di esigere informazioni e di chiedere insistentemente che la moglie di Mukhtar Ablyazov sia libera di muoversi all’interno del suo Paese e
al di là delle sue frontiere. Per Emma Bonino questo è un esame di passaggio, ma anche una buona occasione. Se tratterà la questione con fermezza, dimostrerà che la difesa dei diritti umani e dell’interesse nazionale sono in questo caso la stessa cosa.


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