Giappone, strada spianata per Abe

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PECHINO — Il liberaldemocratico (e nazionalista) Shinzo Abe voleva un mandato forte per continuare a governare il Giappone. E lo ha avuto. Il partito del primo ministro, dopo la vittoria nelle elezioni di dicembre, ha ottenuto un successo inequivocabile anche nel voto di ieri per la Camera alta della Dieta e ora controlla oltre la metà dei seggi (130 su 242) assieme al partito minore di coalizione.

Con la doppia maggioranza nei due rami del parlamento, Abe potrà proseguire con la «Abenomics», il piano economico che, dopo quindici anni di stagnazione, ha già dato al Giappone una crescita del Prodotto interno lordo del 4,1% su base annua e ha lanciato i titoli della Borsa di Tokyo a un +40% da gennaio. Sullo sfondo, resta l’ombra della vecchia passione del primo ministro: una riforma della costituzione pacifista del Giappone e la creazione di un vero esercito non più ancorato al rifiuto dell’uso della forza se non per autodifesa.

Ricorda un po’ l’antica tradizione militare del Sol Levante anche il nome dato ai pilastri della «Abenomics»: sono stati definiti Frecce. Abe in questi primi sette mesi di governo ne ha scoccato tre. La prima: un pacchetto di stimolo da 110 miliardi di dollari in grandi opere pubbliche, dai ponti alle strade, una massa di denaro equivalente al 2% del Pil pompata nel sistema. La seconda: la promessa di mettere fine alla deflazione, fissando un obiettivo di inflazione al 2%. La terza: riforme strutturali di lungo termine. Ma ora i mercati si aspettano la Quarta Freccia, la più dolorosa per la società .

La nuova fase dovrebbe comprendere misure per ridurre il debito pubblico che supera il 214% del Pil. Abe si è impegnato a raddoppiare la tassa sui consumi dal 5 al 10%; e poi ha proposto di dare flessibilità al mercato del lavoro (rendendo più facile i licenziamenti); di ridurre la «corporate tax» sulle imprese, che oggi è al 36%; ancora, di riformare la sicurezza sociale alzando l’età della pensione dai 65 ai 70 anni.

Misure poco popolari, che potrebbero essere sabotate anche da una parte del suo stesso Partito liberaldemocratico.

Ma la «Abenomics» ha anche un altro avversario. Scritto nel Dna politico del 58enne Shinzo Abe. Che nasce come conservatore nazionalista.

Questa settimana, a fine campagna elettorale, Abe è andato a visitare Ishigaki, un’isola a meno di 200 km da Taiwan e pericolosamente vicina al piccolo arcipelago conteso delle Senkaku (che Pechino chiama Diaoyu). La prima volta in 48 anni che un premier giapponese in carica ha sentito il bisogno di metterci piede. Quella tappa durante la quale ha voluto incontrare i militari della Guardia costiera impegnati nel pattugliamento delle isole contese, incoraggiandoli a difendere la patria, secondo i cinesi è una provocazione. Il premier continua a parlare di un ruolo nuovo per le forze armate, in particolare la capacità di lanciare azioni preventive. La sua ossessione, che lo distrasse da altre attività e fece cadere dopo un anno soltanto il suo primo governo, nel 2007, fu la riscrittura della costituzione pacifista imposta dagli americani nel 1947.

Riuscirà questa volta Abe a mantenere sufficiente realismo per evitare pericolosi salti nel passato che potrebbero condurre a una crisi grave con la Cina?

Durante la Guerra fredda fu coniato l’acronimo «Mad» (Mutual Assured Destruction): significava che Usa e Urss avevano tante testate nucleari da potersi distruggere a vicenda. Per questo si guardarono bene dal premere il bottone. Ora tra Cina e Giappone si parla di «Map» (Mutual Assured Production): la teoria della Pax Economica nonostante la crisi per le isole Senkaku/Diaoyu. Significa che la Cina ha bisogno d ei componenti ad alta tecnologia giapponese per assemblare i suoi prodotti da esportazione e il Giappone ha disperato bisogno di venderli. Questo acronimo razionale dovrebbe tenere Abe (e la leadership di Pechino) concentrati sulle Frecce economiche .

Guido Santevecchi


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