Carcere a vita per il novantenne leader islamista

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Ghulam Azam, leader di Jamaat-e-Islami per oltre trent’anni, dal 1969 al 2000, è stato giudicato colpevole di cinque reati, tra i quali omicidi di massa e torture, da un tribunale speciale chiamato “tribunale internazionale dei crimini” e istituito nel 2010 a Dacca dal premier Sheikh Hasina. Per la corte Azam è responsabile di aver sostenuto l’esercito pachistano creando milizie sanguinarie. L’accusa lo ha paragonato a Hitler per il suo ruolo di «guida» avuto nei massacri. Tutte imputazioni da lui respinte come inesistenti e «politicamente motivate».
La sentenza è stata emessa in un clima di grande tensione in un Paese che solo di recente ha riaperto questo doloroso capitolo della sua storia. Nei nove mesi di guerra per l’indipendenza del ’71 morirono fino a tre milioni di persone, secondo le stime del governo, mentre altre fonti parlano di 500mila vittime. I sostenitori di Jamaat-e-Islami sono scesi in piazza per protestare nella capitale e in altre città e già prima della sentenza erano scoppiati violenti scontri con la polizia con decine di feriti. Il partito di Azam contesta il tribunale stesso accusandolo di essere uno organismo politico formato dal governo.


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