La Cina e i dati sul Pil che frena ancora «L’Occidente si fidi, non ci sarà un crollo»

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O’Neill, 56 anni, è famoso per aver creato l’acronimo Bric, la formula che raccoglie le economie emergenti: Brasile, Russia, India e Cina. Era il 2001 e l’economista inglese aveva visto giusto: la Cina oggi è la seconda potenza mondiale per Prodotto interno lordo.

 

Eppure i segnali sono di una frenata, è l’inizio del declino?

«Quando ho cominciato a lavorare a Goldman Sachs, nel 1995, il Pil cinese valeva 350 miliardi di dollari. Oggi è arrivato a 8.300 miliardi, quindi si è moltiplicato circa per 23. A chi si vuole preoccupare ricordo che in questo periodo la Cina ha creato ricchezza equivalente a tre volte il Regno Unito; negli ultimi due anni, mentre già rallentava, è passata da 5.900 miliardi a 8.300: quindi è come se avesse creato un’altra Italia. E a dispetto dei suoi problemi l’Italia è l’ottava economia del mondo, ancora davanti all’India; significa che la Cina ha saputo costruire al suo interno anche un’altra India, in due anni».

Quindi, che cosa sta succedendo?

«Succede che gli anni della Cina con la produzione a basso costo sono finiti e credo che questo sia un bene; sono convinto che il governo di Pechino ne sia consapevole e lo voglia. Punta alla qualità dopo aver raggiunto la quantità».

Il sistema della Repubblica popolare è ancora dominato dalle industrie di Stato…

«Certo, c’è sempre l’idea che il privato sia il bene e il pubblico il male. Ma le cose non sono così semplici. Bisogna vedere quanto siano dedicati a una visione di lungo termine gli investitori».

E quali visione debbono avere i dirigenti cinesi?

«I prodotti a basso valore aggiunto li faranno altri Paesi, meno sviluppati e con il costo del lavoro più basso. Perciò la Cina deve puntare su ricerca, innovazione, creatività, istruzione. Sono necessari aggiustamenti importanti, come nel sistema del credito e mi sembra che abbia cominciato. Il governo si prepara a lanciare un piano di urbanizzazione e una cosa è necessaria: deve cancellare anche dal vocabolario cinese l’espressione “lavoratori migranti”, quella massa di mano d’opera che viene dalle campagne in città e non ha uguali diritti».

Non c’è da temere la bolla edilizia?

«Non credo, perché il governo ha cercato di frenare la corsa dei prezzi, ha lanciato un nuovo piano di edilizia popolare e non vedo altri esempi nel mondo di governi che intervengono per arrestare l’aumento dei prezzi delle case».

Dopo aver lasciato ad aprile il vertice di Goldman Sachs, dove era presidente dell’Asset Management, Jim O’Neill si è preso un periodo di pausa. Pensa al suo amato Manchester United (è un grande tifoso) e gira il mondo per studiare e tenere conferenze. A Pechino è venuto con gli «Young Icebreakers», gli eredi del gruppo di 48 imprenditori e industriali britannici che 60 anni fa sbarcarono a Pechino per fare affari, nonostante il governo comunista fosse sotto embargo. Quindi O’Neill nel futuro e nel presente della Cina continua a crederci.

E l’Occidente, perché non ha evitato la grande crisi?

«A un certo punto le crisi si verificano, perché nella natura dell’uomo a un estremo c’è l’avidità, all’altro la paura. E questo si riflette sui mercati. Ciò detto, la crisi in Europa è una delle meno necessarie della storia, direi che l’Eurozona se l’è inflitta da sola perché non ha voluto ragionare a 17. La situazione è degenerata per la mancanza di guida politica».

E l’Italia?

«Finalmente dà segnali di stabilizzazione».

Investirebbe i suoi risparmi in Bot?

«Me lo avrebbe dovuto proporre mesi fa, quando davano il 7 per cento».

Guido Santevecchi


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