La miopia del crociato anti immigrati lacrime per i veneti, mitra per gli altri

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«Povero orango!» Il giorno dopo l’indegno paragone scagliato da Roberto Calderoli contro Cécile Kyenge, la «pancia» leghista vomita sul web spiritosaggini in tema. Spicca su tutti l’assessore all’identità veneta Daniele Stival che, bacchettato dai leader del partito per aver postato su Facebook un paio di vignette immonde, farfuglia: «Se le ritiene un insulto, me ne scuso». Lui, di essere un razzista, non si era manco accorto.

Veneziano di Pramaggiore, al confine col Friuli, perito chimico, rappresentante di cancelleria, deputato regionale leghista da tredici anni, legato a Flavio Tosi, Stival ha con i migranti un rapporto schizofrenico. Alla lettera: dal greco «schizo» (divido) e «phren» (cervello). Se si tratta dei veneti scappati dalla miseria e andati per il mondo in cerca di fortuna, può commuoversi fino alle lacrime e sospirare se ascolta certe canzoni malinconiche e perfino recitare a memoria qualche strofa: « Andemo in Transilvania / a menar la carioleta / che l’Italia povareta / no ga bessi de pagar».

Se si tratta degli «altri» scappati da un’altra miseria e sbarcati in Italia per cercare la fortuna in giro per l’Europa, è capace al contrario di dire cose tremende. Come qualche tempo fa quando, ospite di un talk show televisivo su una rete locale, si spinse a dire che i viaggi della speranza vanno fermati costi quel che costi: «Ci riescono in Grecia, Spagna e Croazia, dovremmo riuscirci anche noi usando il mitra». Fiammata di indignazione, censura di Luca Zaia e mea culpa: «Scusate. Sono pronto a dimettermi e a consegnare le mie deleghe».

Macché: perdonato. E pronto a riversare ancora la sua «pietas» esclusiva e campanilista sugli ex-veneti, sui loro figli e i figli dei figli dei loro figli. Al punto di spedire una lettera a tutti i sindaci invitandoli ad avere un occhio di riguardo per chi vive a Sydney o Ushuaia: «Valutate la possibilità estendere alle proprietà di emigrati veneti le agevolazioni sulla prima casa». E a incaponirsi sull’approvazione, due mesi fa, di una legge regionale che riconosce una serie di aiuti e agevolazioni ai nipoti e pronipoti dei veneti «fino alla quinta generazione». Vale a dire anche a chi magari si chiama Thiago Carvalho Bresolin e non parla una parola di italiano e dopo vari matrimoni incrociati di nonni e bisnonni con immigrati di tutte le etnie, di «sangue veneto» nelle vene ne ha forse qualche goccia.

Ma che ne sa, Daniele Stival, di come erano visti quei nostri nonni? Che ne sa dei linciaggi di italiani in Brasile e in Argentina così frequenti da spingere l’ambasciatore a Buenos Aires Francesco Saverio Fava, nel 1880, a chiedere ufficialmente a Roma di tenere un registro dei linciati? Che ne sa del soprannome «Guinea» dato ai nostri emigrati in America? Che ne sa del processo in Alabama, nel 1922, al nero Jim Rollins, processato per aver avuto un rapporto con un’italiana e assolto perché essendo italiana «non si poteva assolutamente dedurre che ella fosse bianca, né che fosse lei stessa negra o discendente da un negro»? Che ne sa di quella vignetta del 1911 su Life dove il lustrascarpe italiano aveva la faccia di uno scimmione?

Ignaro di tutto, l’assessore all’«identità veneta», ieri mattina, ha pensato fosse spiritoso postare sulla sua pagina di Facebook due vignette indecenti. Nella prima, una scritta sovrapposta a una foto di Cécile Kyenge diceva: «Siamo profondamente sdegnati per i termini offensivi utilizzati da Calderoli nei confronti di una creatura di Dio qual è l’orango! Riteniamo vergognoso che si possa paragonare un povero animale indifeso e senza scorta ad un ministro congolese!». Nella seconda, c’era il muso di un orango: «Dice che la signora Cecilia mi somigli. Ma io sono mooolto più bella e simpatica!»

Quando l’hanno saputo, Luca Zaia e Flavio Tosi, divisi su tutto o quasi, hanno avuto la stessa reazione: Stival era indifendibile, doveva rimuovere le porcherie e scusarsi.

Cosa che l’assessore, sia pure recalcitrante, ha fatto. Non prima di avere postato un’invettiva contro le critiche: «Razzisti siete voi di sinistra contro i veneti e gli italiani!». E senza rimuovere altre volgarità come quella di un certo Giorgio Grossi (chissà se un giudice avrà la compiacenza di ricordare la legge n.654 del 1975 contro il razzismo…) che scrive: «Guardate che l’unica che si è integrata benissimo è la scimmia, non ci ha messo molto ad usare la scorta e le auto blu…».

Una ambiguità che ha fatto infuriare non solo i segretari dei sindacati veneti e un sacco di altra gente, ma anche vari leghisti veneti della prima ora. Come Bepi Covre: «Lo buttino fuori. Luca Zaia gli deve togliere almeno la delega di assessore all’identità veneta. Noi veneti non abbiamo niente da spartire con questa gentaglia. Niente. Questi figuri che da anni vivono di politica alle spalle della Lega si permettono di sparare cose inaccettabili facendo vergognare gente come me e i sindaci che sono in trincea ad arrabattarsi tra mille problemi e che non farebbero mai discorsi così».

Gian Antonio Stella


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