Tangenti in Nigeria, Saipem condannata
MILANO — Per un punto Martin perse la cappa, dice il proverbio. E ormai sempre più anche i processi sono così: si vincono o si perdono sul filo di una manciata di giorni di prescrizione, tanto che su questa trincea contabile-giudiziaria infuriano vivissime le tenzoni giuridiche. Quella di ieri tra la Procura di Milano e la Saipem, nel processo sulle tangenti corrisposte da Snamprogetti Netherlands BV in Nigeria nel 1994-2004, dopo 4 anni di rovesciamenti di fronte arride in primo grado ai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro: i giudici Magi-Guadagnino-Amicone, dopo aver dichiarato mesi fa la prescrizione delle persone fisiche dei manager indagati nel 2009, accolgono infatti — per 40 giorni di differenza sulla prescrizione — la richiesta di condannare Saipem a 600.000 euro di sanzione pecuniaria e soprattutto alla confisca di 24 milioni di euro come profitto illecito, in base alla legge 231 del 2011 sulle responsabilità amministrative delle aziende per reati (in questo caso la corruzione internazionale) commessi dai loro dipendenti nell’interesse aziendale.
Un esito tutt’altro che scontato nel processo italiano, visto che nel novembre 2009 il gip Mariolina Panasiti aveva negato ai pm la misura interdittiva del temporaneo divieto per l’Eni di stipulare contratti diretti o indiretti con l’azienda statale Nigerian National Petroleum Corporation.
Costa dunque carissima, alla fine, la quota italiana di tangenti multinazionali sugli appalti del gas in Nigeria: la parte di pertinenza Snamprogetti sui 182 milioni di dollari che tra il 1994 e il 2004 il consorzio internazionale Tskj (partecipato dall’americana Kbr, dalla giapponese Jgc, dalla francese Technip e appunto dall’italiana Snamprogetti) stanziò per politici e burocrati della Nigeria in cambio degli appalti da 6 miliardi di euro per i sei colossali impianti di estrazione e stoccaggio del gas liquefatto del giacimento di Bonny Island. Già ben prima della sentenza milanese di ieri da 24 milioni, Snamprogetti Netherlands BV aveva dovuto versare 240 milioni di dollari negli Stati Uniti per patteggiare con il Dipartimento di Stato, mentre Snamprogetti ed Eni ne hanno dovuti sborsare altri 125 per tacitare la Sec (la Consob statunitense).
Avviata in Francia e cresciuta in Gran Bretagna, l’inchiesta lievitò infatti negli Stati Uniti con le ammissioni di Albert Jackson Stanley, il top manager che in Texas concordò 7 anni di pena dopo essere stato al timone della multinazionale americana Kbr, controllata dalla Halliburton che all’epoca aveva al vertice Dick Cheney, poi assurto alla vicepresidenza Usa nell’era Bush. E il Dipartimento di Stato americano ha anche incamerato patteggiamenti per 402 milioni da Kellogg Brown & Root, 240 da Technip, 218 da Jgc, 148 da Tessler, e 54 dall’intermediario Marobeni.
Annuncia appello la Saipem, che ricorda di «essere stata coinvolta nel procedimento sulle attività del Consorzio Tskj in Nigeria nel 1994-2004 solo perché nel 2006 ha acquistato Snamprogetti SpA, società controllante Snamprogetti Netherlands BV che detiene una partecipazione del 25% nel Consorzio Tskj». Saipem fa sapere che la sentenza «non ha alcun impatto finanziario sulla società perché Eni, in occasione della cessione di Snamprogetti SpA, si era impegnata a indennizzare Saipem per le perdite a danno di quest’ultima con riferimento alla vicenda Tskj». E «estremamente meravigliati» si dichiarano il professor Angelo Giarda e l’avvocato Massimo Pellicciotta «per l’esito totalmente sganciato dalle acquisizioni probatorie emerse in sede dibattimentale. Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza per poterla impugnare».
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