Tornano benzina e luce I sospetti di un golpe orchestrato a tavolino
IL CAIRO — Al distributore di via Qasr El Eini, vicino al Parlamento, non c’è coda: «Finalmente la benzina è tornata, prima era un vero incubo», dice felice un tassista. Prima, cioè fino al 3 luglio quando Mohammad Morsi è stato deposto, le file erano ovunque infinite, la gente furiosa. Anche i blackout sono spariti e dopo un anno è rispuntata la polizia. Merito del generale Al Sisi, regista del golpe militar-popolare e ora al comando de facto? Molti lo pensano. Ma non è solo la Fratellanza sconfitta a credere che sia stato invece «un piano ben preparato», come dice il portavoce Gehad Haddad, ancora ieri accampato per protesta in una moschea del Cairo con stuoli di Fratelli. «Ero certa che benzina, luce e polizia sarebbero tornati di colpo, era tutto previsto — dice la giornalista Shahira Amin —, dal giorno dell’elezione di Morsi contro di lui si è mosso compatto l’intero “stato profondo”». E’ così che gli egiziani chiamano l’enorme insieme formato da apparati di sicurezza, esercito, burocrazia, ministeri, magistratura e soprattutto «felùl», i «resti» del vecchio regime che dagli anni ’70, quando Sadat varò le privatizzazioni, controllano indisturbati l’economia. Qualche nome? Le famiglie miliardarie Khamis e Sallab, la più nota in Italia dei Sawiris. «Ho aiutato i giovani di Tamarrod, non me ne vergogno», ha dichiarato al New York Times il tycoon Naguib Sawiris, copto e arcinemico degli islamici. Come? Offrendo uffici e ampio spazio sui suoi media ai Giovani Ribelli che hanno lanciato in aprile una petizione anti-Morsi, producendo pure un loro video musicale. Lo stesso hanno fatto tv e giornali nati dopo la Rivoluzione: quasi tutti proprietà di «felùl», il loro odio era esplicito contro il raìs-Fratello, la disinformazione sparsa ogni giorno da tv come Dream, Cbc e On , e giornali come Tahrir . Intanto i media di Stato accettavano a fatica il governo islamico, e dall’estero se Al Jazeera lo appoggiava spudoratamente, la saudita Al Arabiya lo attaccava con altrettanta parzialità.
«Per carità, la Fratellanza ha fatto molti errori, anche gravissimi, ma la sua era una missione impossibile — dice un imprenditore occidentale che chiede l’anonimato —. Era un corpo estraneo nel Paese, specie nella sua élite. Alle cene negli attici chic di Zamalek perfino ministri e diplomatici insultavano Morsi. Un capo della polizia mi ha detto che per quattro anni i suoi uomini erano in vacanza. Sotto il mandato di Morsi, poi interrotto, non avrebbero mosso un dito nonostante l’allarme sicurezza». Nelle campagne, intanto, le grandi famiglie «mubarakiane» dopo la rivoluzione erano tornate forti, unendosi a questa offensiva. Come hanno fatto, anche loro deboli e divisi, i partiti laici. Con altri scopi e toni, ma è un segno che recentemente avessero deciso di abolire nei discorsi la parola dispregiativa «felùl», di non definire così nessuno dei politici con cui ora trattano per formare un governo.
Questa è solo una parte della storia. La Fratellanza stordita dalle vittorie elettorali post Rivoluzione non ha capito che quei voti erano dovuti a uno sbandamento temporaneo dello «stato profondo» e alle divisioni dei laici, ha poi sbagliato molto se non tutto. Ma questa parte spiega come l’Egitto dopo solo un anno abbia appoggiato il benservito al raìs eletto e il ritorno dei generali. Che infatti procedono sicuri nella Restaurazione, ignorando i dubbi del mondo e i nuovi timori degli Usa sulla campagna di arresti dei vertici della Fratellanza. Anzi, i militari ieri hanno mosso le prime accuse a Morsi, detenuto da giorni in un «luogo sicuro», tra cui quella di essere scappato dal carcere nel 2011 con l’aiuto di Hamas (sarebbe «alto tradimento»). L’ex raìs e altri leader islamici, già agli arresti o ricercati, sono inoltre indagati per il «complotto» violento che in giugno avrebbero approntato «per mantenere il potere minacciato dalle proteste popolari» previste per la fine del mese. Le stesse proteste, secondo la lettura che dà oggi gran parte del Paese, che avrebbero poi costretto il generale Al Sisi ad intervenire per il bene di tutti.
Cecilia Zecchinelli
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