Processo al morto: Mosca condanna Magnitskij

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MOSCA — Il Morto è colpevole, e la condanna è l’unica possibile: la sua memoria non potrà mai più essere riabilitata. In una piccola aula chiusa al pubblico del tribunale Tverskoj, nella Mosca dello shopping e delle gallerie d’arte, il giudice Igor Alissov ha pronunciato ieri mattina una surreale e macabra sentenza contro Sergej Magnitskij, avvocato, morto nel 2009 probabilmente a causa di un pestaggio dei carcerieri della famigerata prigione dall’insolito nome di Matrosskaja Tishina (La Quiete del marinaio). Poco prima di morire si era detto disposto a rivelare nomi e cognomi di un sistema criminale di estorsioni alle grandi aziende, molto vicino allo stesso presidente Vladimir Putin.
Proprio la denuncia di Magnitskij e i pesanti sospetti sul Cremlino hanno fatto di lui un simbolo e uno dei punti centrali delle recenti frizioni tra Russia e Stati Uniti. Obama in persona, colpito nella sua sensibilità da ex avvocato, aveva infatti dato il via a una procedura che ha portato alla famosa “lista Magnitskij”, un elenco di grandi personalità della politica e della finanza russa banditi dagli Stati Uniti perché ritenuti responsabili, da un’inchiesta indipendente, dell’omicidio in carcere del giovane accusatore. Un’interferenza che Putin non ha mai accettato e che lo ha convinto a pretendere dai suoi giudici una spericolata acrobazia sul diritto russo ma anche su tutte le procedure legali internazionali. Il più clamoroso processo nei confronti di un morto, fatto solo allo scopo di rimarcarne la colpevolezza, risale addirittura alla Roma dell’alto medioevo, nell’897, con il processo al cadavere di Papa Formoso voluto dal suo successore Stefano VI. Una macchia nella storia della Chiesa ricordata come “Il sinodo del cadavere”.
Ma per il Cremlino questo processo era importante almeno come per Stefano VI più di mille anni fa. Serviva a certificare legalmente le parole che Putin ha sempre ripetuto più volte davanti alle proteste dei difensori dei diritti umani: «Magnitskij non era un difensore dei diritti di nessuno, ma solo un criminale inquisito dalla nostra procura per gravi reati fiscali». E così ieri, dopo quattro mesi di processo, è arrivata la sentenza definita dal giudice «non rivedibile per eventuali richieste di riabilitazione».
Condannato invece a nove anni di carcere, l’altro imputato, il britannico William Browder. Vivo ma rifugiato nella sua Londra che non prenderà mai in considerazione la richiesta di estradizione già partita ieri sera stessa da Mosca.
Magnitskij e Browder sono stati ritenuti colpevoli di organizzazione a delinquere e di evasione fiscale per quasi 150 milioni di euro. La loro disavventura cominciò nel 2008. Magnitskij, moscovita ma dipendente della azienda americana Firestone Duncan, rappresentava gli interessi in Russia del Fondo britannico Hermitage Capital Management del miliardario londinese Browder. Entrambe le aziende si ritenevano vessate da un gruppo di alti funzionari che continuavano a chiedere somme di denaro sempre più elevate basandosi su inesistenti reati fiscali. Magnistkij, che allora aveva 36 anni, denunciò un complotto e promise di fare i nomi dei ricattatori. Arrestato, fu rinchiuso nel vecchio carcere zarista della Butyrka per un anno intero. Denunciò pestaggi, pressioni e minacce per fargli ritrattare le accuse. Seguì il trasferimento nel centro di custodia cautelare di Matrosskaja Tishina e, poco dopo, la morte: giustificata dalle autorità carcerarie con una «improvvisa crisi cardiaca».
Browder investì molto denaro per montare un caso pur di avere giustizia. Inchieste giornalistiche, interviste, perfino un musical dedicato a Magnitskij e messo in scena con successo a Londra, mobilitarono l’opinione pubblica e attirarono l’attenzione di Obama. Mosca reagì con un’inchiesta interna conclusa con una lieve nota di biasimo per «scarsa attenzione» alla giovane dottoressa di turno quella notte. E davanti alle accuse degli Stati Uniti ha sempre risposto che si tratta di invenzioni senza fondamento. Per il Cremlino Magnitskij era solo un criminale. E la sentenza di ieri ha chiuso definitivamente il caso.


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