Riparte l’accerchiamento contro i renziani: dicano se staranno con Letta fino in fondo

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ROMA — Cercasi Pd disperatamente: maggiorenti e non maggiorenti, bersaniani, veltroniani, dalemiani, lettiani, renziani, franceschiniani, e chi più ne ha più ne metta, cercano di dare un senso e un’identità al Partito democratico, soprattutto dopo la figuraccia dell’altro ieri pomeriggio alla Camera dei Deputati.

Per ora ci si limita al Pd epistolare: si sottoscrivono lettere, appelli e manifesti. I Democrat preferiscono scriversi, piuttosto che parlarsi l’uno con l’altro. Anche perché le linee di comunicazione non funzionano bene da quelle parti, almeno in questo periodo. Basti pensare alle mille e uno versioni che sono state date sulla sospensiva di martedì. Onde evitare il bis, il capogruppo a Montecitorio Roberto Speranza ieri ha passato l’intero pomeriggio a sondare gli umori de i parlamentari del suo partito. Proprio lui, in genere riservato e schivo, poco propenso a frequentare il Transatlantico (le sue apparizioni nel lungo corridoio antistante l’aula sono rarissime) ha trascorso un mercoledì a fare avanti e indietro con il deputato di turno, privilegiando i renziani. Prima ha avuto un colloquio di una mezz’oretta con Luca Lotti, il braccio destro di Matteo Renzi, l’unico autorizzato a parlare a suo nome. Poi ha fatto quattro chiacchiere con altri tre renziani: Matteo Richetti, Dario Nardella e Angelo Rughetti.

L’oggetto di questi conversari? La mozione del Movimento cinque stelle sulla rinuncia all’ultima tranche dei finanziamenti pubblici. La maggioranza del Pd è preoccupata. Teme che Renzi, da tempo propugnatore dell’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, dica al suo gruppo di alzare le barricate su questo tema. Per evitare che alla Camera vada in scena l’ennesima divisione all’interno del Partito democratico, Speranza mette le mani avanti e cerca di capire se i sostenitori del sindaco di Firenze sono disponibili a sottoscrivere una mozione unitaria di tutto il Partito democratico sul finanziamento pubblico.

Con Renzi, ormai, la maggioranza del Pd ha deciso di usare il bastone e la carota. Da una parte, perciò, si cerca di convincere i «suoi» parlamentari a trovare una mediazione sul finanziamento che non faccia fare cattiva figura al Pd e al governo, dall’altra si sfida il sindaco rottamatore cercando di isolarlo. Impresa che ieri non è risultata troppo difficile, tant’è vero che persino i veltroniani hanno partecipato al tentativo di accerchiamento del primo cittadino di Firenze.

La storia è andata così: i lettiani hanno proposto un documento in difesa del governo e contro chi gioca a minarne le fondamenta (leggere Renzi) che è stato firmato al Senato da tutte le correnti, inclusa quella di Veltroni rappresentata da Giorgio Tonini. E ancora: martedì i bersaniani chiederanno un chiarimento all’assembla del gruppo della Camera ai renziani, i quali dovranno rendere conto del loro comportamento e, come annuncia Alfredo D’Attorre, «dire se vogliono sostenere questo governo fino in fondo».

Insomma, un tentativo di mettere in difficoltà il primo cittadino del capoluogo toscano, facendolo passare per uno «sciacallo» pronto ad approfittarsi delle difficoltà dell’esecutivo Letta.

Eppure le insidie per il governo potrebbero venire da tutt’altra parte. Dal malessere degli elettori del Pd, per esempio. E infatti Guglielmo Epifani con i compagni di partito ammette: «Se il Pdl resta al fianco di Berlusconi in caso di conferma della sentenza di condanna da parte della Cassazione, noi non reggiamo». In effetti tutti i deputati ieri ammettevano che nei territori è la rivolta per quella scelta e che la richiesta è una sola: «Se il Cavaliere verrà condannato definitivamente il Pd non potrà più governare con il Pdl».

Del resto, il tam tam insistente secondo cui Pier Luigi Bersani sta tornando a parlare di «governo del cambiamento», immaginando che, in caso di crisi, il Partito democratico possa dare vita a un esecutivo con i transfughi di Grillo, sta a testimoniare il fatto che il Pd non dà per scontata la prosecuzione delle larghe intese.

La situazione di fibrillazione continua produce i suoi effetti anche sulle scadenze della vita interna di partito. Ieri la commissione per il regolamento del Congresso non si è riunita e da qualche giorno tra i renziani serpeggia il sospetto di un rinvio delle assise nazionali. Magari a febbraio.

Maria Teresa Meli


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