L’altra Piazza Tahrir: centinaia di stupri

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IL CAIRO — In pochi giorni, quasi cento abusi sessuali in piazza Tahrir contro le donne: Human Rights Watch denuncia la cifra e dà i dettagli. Vengono attaccate con coltelli, bastoni, catene, sedie. Denudate, e spesso stuprate. E denuncia il clima d’impunità in cui si svolgono le violenze, chiedendo alle autorità egiziane di intervenire. Lo sa anche la giovane inglese di 25 anni che domenica sera era in piazza Tahrir per scattare delle foto, e poche ore dopo era ricoverata in ospedale per le ferite della violenza di gruppo appena subita.
«Sono stata circondata da una decina di uomini», racconta, «ho provato a tenermi stretta alla mano dell’amico che era con noi, ma il gruppo mi ha trascinata via in un attimo. Urlavo, ma nessuno mi aiutava e altri uomini si aggiungevano ai primi, prendendomi anche in giro con falsi sorrisi. Poi mi hanno portata in una via buia accanto alla piazza strappandomi i vestiti, picchiandomi e violentandomi. Ho pensato che sarei morta». Qualcuno però è intervenuto, riuscendo a salvarla: un attivista del gruppo Operazione contro le molestie sessuali (OpAntiSH) nato nei mesi scorsi con l’obiettivo di aiutare le donne aggredite è riuscito a strapparla al gruppo di assalitori usando una pistola lanciafiamme e portandola in un caffè. Il gruppo li ha inseguiti, ha tentato di entrare. Ma la ragazza è stata infine consegnata all’ambulanza che l’ha portata in ospedale.
Seppur scioccante, questo è un solo un esempio di una trama che si è ripetuta centinaia e centinaia di volte in piazza Tahrir. In un clima di scontri fra rivoluzionari e Fratelli Musulmani una sorte analoga è toccata il 29 giugno a giornalista olandese di 22 anni, che ora è stata rimpatriata. Nonostante si cerchi di non guardare a queste violenze come a puri atti politici, tanti sono gli attivisti in piazza che non esitano ad indicare i Fratelli Musulmani come responsabili di atti che vogliono compromettere il messaggio di democrazia e rivoluzione pacifica dei manifestanti. Ma le violenze contro le donne in piazza sono iniziate nel 2011, durante il governo ad interim delle Forze Armate seguito alla caduta di Mubarak. Episodi simbolo furono quello, ripreso in un video, della manifestante velata trascinata a terra e denudata da un gruppo di agenti di polizia fino a rivelarne il reggiseno, come anche delle centinaia di “test di verginità” a cui le dimostranti furono forzatamente sottoposte negli stessi mesi. Solo una di loro, Samira Ibrahim, è riuscita a portarli in tribunale.
Allora, come oggi, la questione non trova spazio nella politica egiziana. Questa battaglia è invece condotta con grande professionalità e coraggio da organizzazioni come Operazione contro le molestie sessuali e Tahrir Bodyguard, che operano anche tramite linee telefoniche e online 24 ore su 24, mentre il gruppo di Nazra segue la guarigione psicologica e fisica delle donne sia nei centri medici che nel ritorno alla vita normale. In questi giorni, le organizzazioni di attivisti stanno avvisando le donne perché stiano lontane dalla piazza. E sono in tanti a ripetere: «Ci sono persone pagate per colpire le donne e rovinare l’immagine delle proteste ». Denunciando gli abusi, Human Rights Watch ieri ha deplorato la negligenza del governo e ammonito le autorità egiziane: «Vanno prese immediate misure contro questi orribili livelli di violenza ». La ragazza inglese violentata domenica intanto ringrazia chi l’ha soccorsa, e spera: «Non mi sento di incolpare gli egiziani per quel che mi è successo», dice, «perché ci sono tante persone che stanno lottando strenuamente per combattere questo male».


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