Si allontana l’ipotesi del voto Il nodo della sentenza sul Cavaliere

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ROMA — Tra «cabine di regia», «vertici di maggioranza» e «verifiche di governo», la politica sembra davvero tornata indietro di trent’anni. E non c’è dubbio che ai tempi della Prima Repubblica, con un esecutivo precario, partiti in conflitto e gruppi parlamentari in rivolta, si sarebbe aperta la crisi e probabilmente si sarebbero tenute anche le elezioni. Ma rispetto al passato, oggi non sono alle viste né la caduta del governo né il voto anticipato. Il primo ad averlo capito è Renzi, il cui nervosismo testimonia la consapevolezza di chi sa che la strada per le urne è sbarrata, di chi è consapevole di avere un unico alleato per ottenerle: Berlusconi.

Solo il Cavaliere potrebbe in teoria essere tentato di far saltare il banco, qualora in autunno la Cassazione confermasse la sentenza di condanna sul caso Mediaset. Se non fosse che la «golden share» di cui dispone, già adesso sarebbe difficile da usare e ancor di più lo sarebbe in autunno, quando è previsto lo show down giudiziario. Per allora, infatti, alle difficoltà politiche si aggiungerebbero impedimenti tecnici.

Oltre a Napolitano, l’ostacolo sarebbe rappresentato dal voto europeo. La direttiva comunitaria ha fissato tra il 22 e il 25 maggio 2014 le date per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo nei Paesi dell’Unione: un intralcio di fatto insormontabile per chi mira alla fine anticipata dell’attuale legislatura. Ragioni procedurali non consentirebbero infatti l’accorpamento delle Politiche con le Europee, se è vero che esiste un solo precedente, nel giugno del 1979, quando comunque i due voti furono sfalsati di una settimana. Come non bastasse, lo «scudo» del semestre italiano di presidenza europeo dell’anno prossimo allungherebbe la vita al governo fino alla primavera del 2015.

Per questo motivo Renzi scalpita, perciò ripone le ultime speranze in Berlusconi. Altrimenti Letta sarebbe «condannato» ad andare avanti e potrebbe diventare un temibile competitor nella sfida elettorale per Palazzo Chigi. In modo speculare, i falchi del Pdl vedono in questa prospettiva il definitivo tramonto politico del Cavaliere, perciò nel Pd come nel Pdl gli «stimolatori» del governo cercano l’incidente per sovvertire il gioco e bucare l’ombrello protettivo del Colle.

I focolai in questa fase non si contano, come gli incendi boschivi d’estate. Ad appiccarne uno (inconsapevolmente) era stato Monti, ma l’ultimatum del Professore — bacchettato da Napolitano — non ha prodotto danni. Anzi il premier è intervenuto in soccorso di Monti: la convocazione del vertice di domani è stato un modo per tener da conto il senatore a vita, criticato anche dai dirigenti di Scelta civica per la sua sortita. «Non ci sono alternative al governo», sostiene infatti il capogruppo al Senato Susta, che per sgombrare il campo da interessi personali di Monti, finisce quasi per confermarli: «Semmai aspirasse a incarichi internazionali, comunque gli sarebbe indispensabile l’appoggio del governo».

Più pericolose sono le incursioni che vengono dal Pd e dal Pdl. Lo scontro sull’elezione della Santanchè alla vicepresidenza della Camera è insidioso, per questo Alfano vuole depotenziarlo, perciò da tempo — mentre continua ad assicurarsi il voto dei centristi — sta cercando un compromesso con i Democratici. Letta e Franceschini sono dell’operazione, ma si scontrano con la realtà di un partito che è stato capace di azzoppare Marini e Prodi nella corsa al Quirinale, e che difficilmente si può ricompattare nel voto per la pasionaria del Cavaliere.

Al tempo stesso il vicepremier ha intuito che nel Pdl gli avversari della Santanchè vorrebbero per lei la stessa sorte che sotto sotto si augurano anche i falchi, desiderosi di poter fare di «Daniela» una martire delle larghe intese, la Giovanna d’Arco con cui abbattere il governo e gli attuali equilibri nel partito. Ecco il motivo per cui Alfano lavora per spegnere le fiamme, mentre un altro focolaio rischia di provocare un incendio sul fronte delle riforme, con il ministro Quagliariello accerchiato dalle fiamme di Bondi, Matteoli e Fitto. In queste condizioni, ai tempi della Prima Repubblica di sicuro si sarebbe già aperta la crisi e probabilmente si sarebbe andati alle elezioni. Allora, non oggi.

Francesco Verderami


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