«Tra Usa, Europa e Italia c’è amicizia Ora evitare il blocco del libero scambio»

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ROMA — Ministro Emma Bonino, lo scandalo Datagate sta alterando gli equilibri internazionali. L’idea che gli Stati Uniti possano spiare gli alleati occidentali ha scosso l’Unione Europea. Cosa pensa il responsabile della politica estera italiana?

«Ci siamo mossi immediatamente e abbiamo chiesto una verifica alle controparti americane. La vicenda, lo ammetto, è molto spinosa. E mi sembra evidente che siano necessari tutti i chiarimenti. Abbiamo ricevuto una nota in cui il responsabile dell’intelligence americana, James Clapper, ha promesso che gli Stati Uniti forniranno spiegazioni per via diplomatica all’Unione Europea e ai singoli Stati nell’ambito del dialogo fra esperti americani ed europei concordato fra il ministro Usa della Giustizia Eric Holder e la Commissione europea. Vediamo di capire. Aspettiamo risposte».

Non la preoccupa la prospettiva che le rappresentanze diplomatiche in Usa siano «seguite» illegalmente?

«Lo ripeto. Aspettiamo. Ma siamo fiduciosi. Tra Stati Uniti, Italia, Europa c’è spirito di collaborazione e amicizia. Certo, spiarsi tra alleati non è carino (sorride): ma basta leggere qualsiasi spy story per capire che se ne sono sempre viste di tutti i colori…»

La Germania parla di clima da guerra fredda. E il presidente Hollande ha chiesto l’immediata sospensione di ogni attività di intelligence. Lei che dice?

«Che questa vicenda ha i suoi aspetti ironici. Vedere la Russia, così “attenta” nel controllare capillarmente i propri cittadini, trasformarsi in paladina della libertà, fa sorridere. L’importante è che gli Usa forniscano tutte le spiegazioni per evitare il blocco delle trattative sull’area di libero scambio tra le due sponde».

Sergio Romano, giorni fa, scriveva: l’Europa dimentica il Mediterraneo. Cosa risponde? Partiamo dall’Egitto.

«L’Italia e l’Europa sanno benissimo cosa avviene nel Mediterraneo. Ma nessun ministro degli Esteri ha la bacchetta magica. In quanto all’Egitto, sono stata lì a Pasqua quando era lontanissima l’ipotesi di un mio arrivo alla Farnesina. Pesano le riforme non fatte e il rinvio delle elezioni politiche che avrebbero potuto stemperare la tensione. Non ci sono soldi: non si riesce a firmare un accordo con il Fondo monetario. La preoccupazione è grande. Ma è uno di quei casi in cui la politica internazionale non può fare molto. La diplomazia non è onnipotente. Bisogna dirlo con realismo».

Sempre nel Mediterraneo, c’è la Turchia. Anche lì la tensione continua ad essere altissima. La posizione italiana?

«Con la recente decisione del Consiglio europeo siamo riusciti a tenere la Turchia ancorata all’Europa. Nulla di scontato. Dopo le manifestazioni e la scomposta reazione delle autorità, la posizione di alcuni Stati membri era di chiudere la porta, mettendo l’Europa dalla parte sbagliata della Storia. Pericolo evitato, grazie anche all’attivismo diplomatico italiano».

Ma tornando al Mediterraneo…

«C’è una convulsione gigantesca: uno scontro epocale tra sciiti e sunniti non per motivi religiosi ma geopolitici e geostrategici di posizionamento. Certo non è dall’esterno che purtroppo si possa riuscire a risolvere conflitti che riguardano anche interessi di potenze come Russia e Iran. Il mio approccio era e resta quello di tentare di accompagnare i processi cogliendo tutte le occasioni. Mantenendo una certa visione del mondo. Ma senza velleitarismi. Essere visionari è cosa diversa dall’essere, appunto, velleitari».

Giovedì sarà in Italia il leader libico Zidan con i ministri degli Esteri e degli Interni. Cosa conta di fare l’Italia?

«Ecco, in Libia possiamo sicuramente essere più efficaci per sostenere la transizione. Abbiamo un’approfondita conoscenza della situazione. Con tutti gli inevitabili rischi, quello è un teatro in cui vale la pena di impegnarsi per aiutare la Libia a rimettersi in piedi. Siamo il primo Paese donatore della Libia con un pacchetto di misure di assistenza. E sarà sempre l’Italia a ospitare, entro la fine dell’anno, la nuova conferenza internazionale sull’assistenza alla Libia»

Il presidente Enrico Letta è in Medio Oriente. Qual è la sua posizione sul processo di pace israelo-palestinese?

«L’Italia sostiene con forza il tentativo difficilissimo del segretario di Stato John Kerry. Abbiamo contattato entrambe le parti esercitando ogni possibile “moral suasion”. Israele e Palestina devono capire che questa è l’ultima occasione per arrivare a “due popoli, due democrazie”, come preferisco dire. Un’altra occasione? Chissà se, e quando, capiterà ancora».

In quanto ai Balcani, ministro Bonino?

«Sono stata col presidente Napolitano a Zagabria alle celebrazioni per l’entrata della Croazia nell’Unione Europea. È il più recente capitolo di una “success story”, che mi emoziona perché proprio questa regione è testimonianza anche dell’impegno della mia famiglia politica radicale per tanti anni, dal Consiglio Federale a Zagabria sotto le bombe, alla presenza di Pannella ed altri radicali a Viesnik e Vukovar, all’istituzione del Tribunale ad hoc e poi da Commissaria; insomma, una vita di iniziative radicali. Un’area tormentata nell’ultimo ventennio e che si è avviata, grazie all’Europa, sulla via della democrazia e dello sviluppo. La Serbia inizia a gennaio il processo di adesione, il Kosovo quello di associazione, Albania, Bosnia e Montenegro vanno ancora agganciate al carro europeo ma i progressi ci sono, il Montenegro ha già lo status di Paese candidato all’adesione».

Infine l’Iran. Lei è disposta ad aprire una linea di credito al neopresidente Hassan Rohani o la pensa come il primo ministro israeliano Netanyahu: nulla è cambiato in Iran?

«Obama ha detto che ora un dialogo diretto è possibile, Hollande non mette ostacoli alla partecipazione dell’Iran a una possibile Ginevra 2. Dobbiamo ammettere che la partecipazione popolare alle elezioni è stata altissima e che la nostra visione di un Iran monoliticamente legato a Khamenei non è più adeguata. Penso si debba offire una possibilità non tanto ai vertici quanto al popolo stesso iraniano».

Paolo Conti


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