Carta e plastica, il giallo del riciclo ecco perché in Italia non conviene

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Non solo barattoli di vetro e plastica, ma anche brik di cartone, lattine di alluminio, scatole in legno e acciaio. Sistema che ha il suo baricentro nel consorzio nazionale Conai, ente privato senza scopo di lucro nato con il decreto Ronchi del 1997. Analogo a quelli esistenti in Francia e Spagna, ma molto meno vantaggioso per le nostre amministrazioni locali. Esper ha spulciato le relazioni di bilancio consuntivo 2012 del Conai e dei 6 consorzi di filiera che vi aderiscono. Viene fuori che su 813 milioni di euro di ricavo complessivo nel 2011, solo 298 milioni sono stati riconosciuti ai comuni. «È appena il 37 per cento — si lamenta Ezio Orzes, uno dei curatori della ricerca e assessore all’ambiente di Ponte alle Alpi dove la raccolta differenziata è al 90 per cento — quando in Francia la stessa quota supera il 92, contribuendo così a migliorare il servizio offerto dagli enti locali ai cittadini. Perché così poco in Italia? E dove va a finire il resto?».
Stando alle cifre riportate, un comune italiano che consegna ai centri Conai una tonnellata di carta ottiene un assegno da 42 euro, contro i 179 della Francia, i 108 del Belgio, i 135 del Portogallo. Stessa disparità per la plastica: 291 euro a tonnellata in Italia, 596 in Francia, addirittura 782 in Portogallo. Idem per l’alluminio: 443 euro da noi, 605 in Belgio. Va meglio con il vetro: 39 euro a tonnellata, 38 euro in Francia (ma 47 in Portogallo). Dunque un sindaco italiano che investe risorse pubbliche nell’organizzazione della raccolta differenziata vede rientrare meno soldi che il collega francese, portoghese o belga.
Conviene spiegare i meccanismi del sistema consortile Conai, riconosciuto a livello internazionale come uno dei più efficaci: l’anno scorso su 11 milioni di tonnellate di imballaggi finiti nel cestino ne sono stati riciclati 7,1 milioni, il 63,9 per cento. Le filiere del riciclo di carta, vetro, acciaio, legno, alluminio e plastica si alimentano economicamente con la vendita all’asta di una parte dei materiali (nel 2011 il ricavo è stato di 221 milioni di euro) e
con i contributi ambientali, i cosiddetti Cac, che ogni produttore o importatore di merce imballata deve versare per legge al Conai (592 milioni di euro nel 2011). «I contributi dovrebbero servire per disincentivare la produzione di contenitori inquinanti — spiega ancora Orzes — invece quelli in vigore in Italia sono i più bassi d’Europa, quattro volte inferiori rispetto alla media».
Il confronto con l’estero, ancora una volta, ci vede in difetto. In Francia per una tonnellata di carta e cartone prodotta si versano 160 euro, in Italia appena 6. Per l’alluminio il contributo medio nella Ue è di 174 euro a tonnellata, da noi 45 euro.
E che ci sia qualche rotella che non gira come dovrebbe negli ingranaggi Conai lo dimostra anche il fatto che nel 2012 diversi comuni hanno scelto di non rinnovare la convenzione e di gestire direttamente il riciclo degli imballaggi, soprattutto quelli di legno e carta che hanno un grande valore sul mercato delle materie prime. Non solo: 225mila “utilizzatori” (aziende, punti vendita, enti) sono usciti dal consorzio, a fronte di 20 mila nuove adesioni. «Ora che l’Anci dovrà rinegoziare l’accordo quadriennale con Conai — dice Gianluca FIoretti, presidente dell’Associazione comuni virtuosi — noi facciamo una proposta: triplicare i contributi Cac riducendo al contempo i costi operativi del sistema Conai. Solo così impegnarsi nella raccolta differenziata diventerà davvero conveniente».


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