Egitto, esplode la rabbia contro Morsi tra i morti anche un fotografo americano

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GERUSALEMME — Invocano quasi il nome di Allah i dotti dell’Università Al Azhar, la più alta istituzione islamica sunnita, per fermare quell’ondata di rabbia e violenza che sta spazzando l’Egitto spingendolo verso uno scontro frontale temendo che possa «dilagare verso la guerra civile». Il “venerdì dell’orgoglio islamico” a sostegno del presidente Mohammed Morsi si è trasformato in un giorno di battaglia per le strade delle città egiziane fra i sostenitori della Fratellanza musulmana e l’opposizione, adesso unita sotto la sigla “Tamarod”, I Ribelli, che chiede le sue dimissioni. Ad Alessandria gli scontri più gravi, con due morti e quasi duecento feriti. Da un presidio a favore di Morsi, sono stati sparati colpi di fucile da caccia contro una manifestazione dell’opposizione. La reazione della folla ha travolto ogni cosa fino alla sede del Partito Giustizia e Libertà — il braccio politico della Fratellanza — che è stata devastata e incendiata. Una delle due vittime è un cittadino statunitense, un cameramen free-lance di 28 anni, che stava filmando l’assalto ed è stato pugnalato a morte nel petto. Quasi certamente perché riconosciuto come americano, proveniente da quel Paese verso cui sta montando un risentimento violento della folla nelle strade d’Egitto perché gli Stati Uniti sono percepiti come “alleati” del governo islamista di Morsi a cui hanno accordato maggiori aiuti di quelli che davano al raìs Hosni Mubarak. Critiche dure sono state mosse anche all’ambasciatrice Anne Petterson considerata troppo vicina alla Fratellanza.
L’intero Delta del Nilo è in fiamme, bruciate le sedi della Fratellanza nel governatorato di Daqahliya, a Sharkeyia e a Beheira. A Mansoura le violenze non si fermano nonostante i quattro morti e le centinaia di feriti in tre giorni. Cresce la tensione in attesa della Grande Marcia di domani nella capitale e in tutto l’Egitto contro Morsi, la paura che la violenza possa dilagare ha ieri spinto migliaia di persone a prendere quasi d’assalto l’aeroporto del Cairo: tutti i voli in partenza per l’Europa, gli Stati Uniti e il Golfo partono al completo. Molti sono familiari di funzionari egiziani e uomini d’affari, di diplomatici stranieri e della Lega Araba, ma anche molti cristiani egiziani. Nella capitale gran parte dei grandi alberghi del centro, diversi adiacenti a Piazza Tahrir, sono stati chiusi per sicurezza.
Ieri al Cairo gli islamisti pro-Morsi, alcune decine di migliaia, si sono riuniti davanti alla moschea Rabaa al-Adawiyya di Nasr City, alla periferia della città. Gli oppositori invece si sono ritrovati pacificamente a piazza Tahrir, nel cuore del centro, dove di nuovo sono state piantate le tende. Servono a presidiare la piazza fino a domani, giorno della grande manifestazione per chiedere le dimissioni di Morsi, il passaggio dei poteri al Presidente della Consulta e un governo di emergenza che indica nuove elezioni. È passato solo un anno dalla vittoria di misura del primo presidente islamista d’Egitto, ma 15 milioni di egiziani — che hanno firmato la petizione di Tamarod — lo accusano di non aver saputo mettere argini alla devastante crisi economica e di voler islamizzare la società con un piano di riforme che ha già messo mano alla Costituzione. «Rimetteremo la Rivoluzione sulla giusta strada», annunciano gli attivisti di Tamarod. Sotto questa sigla sono confluiti tutti i movimenti della Rivoluzione del 2011 e i partiti dell’opposizione del Fronte di Salvezza Nazionale di Amr Moussa e Mohammed El Baradei. Proprio il premio Nobel per la Pace ha invitato ieri tutta l’opposizione a manifestare pacificamente domani: «Condanno fermamente la violenza in tutte le sue forme contro le persone, a prescindere dal loro credo e identità. Più pacifici saremo, più forti diventeremo».


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