La svolta verde di Obama: «Dobbiamo agire subito per fermare l’effetto serra»

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Comunque sia, ieri il presidente americano ha scelto la Georgetown University di Washington per annunciare al mondo la sua ambiziosa agenda per combattere i cambiamenti climatici, definita «tra le più avanzate a oggi» dall’ex capo della Banca Mondiale Andrew Steer, presidente dell’influente gruppo ambientalista non profit World Resources Institute. «Come presidente, come padre e come americano, sono qui per dirvi che dobbiamo agire», ha spiegato Obama annunciando l’imposizione di limiti alle emissioni di anidride carbonica per le centrali elettriche nuove ed esistenti, nuovi standard per il consumo di carburante di auto e camion, standard di efficienza energetica per gli uffici pubblici e il perseguimento di un accordo internazionale sulla messa al bando degli idrofluorocarburi, gas refrigeranti che accrescono l’effetto serra. Obiettivo: dimezzare le emissioni entro il 2030. Un’agenda che il capo della Casa Bianca potrà portare avanti attraverso regolamenti e ordini esecutivi, bypassando un Congresso ostile sulla questione che però, come sottolinea il New York Times , «potrebbe avvalersi di una legge raramente usata che gli consente di rovesciare norme varate per decreto presidenziale».

Oltre ad incontrare l’aperta ostilità dell’industria del carbone, che ieri ha visto le proprie azioni crollare a Wall Street, la rivoluzione ecologista di Obama è invisa al partito repubblicano che l’accusa di mettere a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro. Se l’annuncio di ieri riconsegna all’America un ruolo leader in quello che lo stesso Obama ha definito «la minaccia globale dei nostri tempi», in patria l’amministrazione Obama deve arrampicarsi sugli specchi per non alienarsi l’elettorato. «La Casa Bianca esita ad affermare che si tratta di una guerra contro il carbone — spiega il professor Daniel P. Schrag, capo dell’Harvard University Center for the Environment — quando in effetti è proprio ciò che stiamo facendo».

Alessandra Farkas


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Obama la preferisce coperta

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Al presidente Obama non piace la guerra. Non perché è premio Nobel per la pace, ma perché l’azione bellica aperta scopre le carte della strategia statunitense e degli interessi che ne sono alla base. Ha quindi varato un grande piano che, scrive il Washington Post, «riflette la preferenza della sua amministrazione per lo spionaggio e l’azione coperta piuttosto che per l’uso della forza convenzionale».

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