Attacco talebano al cuore di Kabul A rischio i negoziati per la pace

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WASHINGTON — Più facile fare la guerra che la pace. Ovunque. E c’è sempre chi prova a sabotare un negoziato o ci vuole arrivare da posizioni di forza. Si può spiegare così la nuova incursione dei talebani nel cuore di Kabul, in concomitanza con la visita nella capitale di James Dobbin, l’inviato americano impegnato nelle trattative.

L’assalto è stato, come sempre, ben preparato. Gli insorti si sono travestiti da militari della Nato e hanno usato due fuoristrada con le insegne dell’Isaf. Il primo veicolo ha superato il checkpoint della porta est, sulla strada che porta al complesso che include obiettivi sensibili. Il secondo mezzo è stato invece bloccato dai soldati di guardia insospettiti da documenti mostrati. A quel punto è esplosa la battaglia, durata per circa 90 minuti e conclusasi con l’uccisione di 8 militanti – tra loro alcuni kamikaze – e tre guardie. L’obiettivo dell’attacco era ambizioso: il palazzo dove era presente il presidente Hamid Karzai, l’Hotel Aurora che ospita la «stazione» Cia di Kabul e il ministero della Difesa. Tutti simboli in un’operazione rivendicata con una telefonata dai talebani ma che potrebbe essere stata compiuta dal network Haqqani, rete vicina ai servizi pachistani e al Qaeda. Violenza accompagnata da una strage nel sud dove una mina piazzata dai mujahedin ha ucciso 11 civili, comprese 8 donne e due bambini. E dal fallito attentato di tre uomini-bomba fattisi saltare per errore.

L’ennesima sfida dei ribelli, che ancora una volta hanno mostrato come siano in grado di agire nella capitale, potrebbe avere conseguenze sulla delicata fase diplomatica. Un momento difficile e non solo per i colpi della guerriglia. Washington è pronta ad avviare il dialogo con i talebani in Qatar, ma il presidente Karzai, sentitosi scavalcato ed estromesso, ha puntato i piedi. Il governo di Kabul non ha poi gradito che la delegazione talebana abbia issato la propria bandiera e messo la targa «Emirato dell’Afghanistan» davanti all’ufficio di Doha, aperto come precondizione per l’inizio dei contatti. Piccoli «segni» rimossi dopo colloqui tra americani e mediatori qatarioti. Resta la diffidenza tra le parti. Del resto la trattativa, che doveva iniziare nel giro di pochi giorni, è sospesa in questo limbo dove pesano condizioni come manovre sotterranee.

Il negoziato interessa alla Nato che deve creare le condizioni migliori possibili per andarsene dall’Afghanistan. Differente la valutazione dei talebani. Quelli allineati con le decisioni del (sedicente) mullah Omar accettano, in linea di principio, il dialogo, ma non significa che le attività militari siano finite. Anzi, hanno promesso di proseguire l’offensiva per accentuare la pressione sugli Usa. Ancora meno legate a impegni le ali più estreme dell’insurrezione. Chi, in questi anni ha lavorato al fianco dei qaedisti, ha tutto da guadagnare dall’instabilità perenne.

Guido Olimpio


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