Il piano del rottamatore per recuperare i voti dei delusi di Scelta civica

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Secondo obiettivo: le primarie. Dalla Lombardia alla Sicilia «Scelta civica» sta terremotando e molti dei suoi dirigenti (e dei suoi elettori) si stanno buttando su Renzi. Ad Agrigento il sindaco ex Udc, Marco Zambuto, sta per approdare al Pd di rito renziano. Spiega il deputato siciliano Davide Faraone, supporter del sindaco: «Un po’ dovunque nell’isola “Scelta civica” sta smottando. Viene con noi la componente dell’Udc ma anche quella laica. Tutti dicono: vi votiamo solo se c’è Matteo». Il quale Matteo c’è, eccome se c’è. Sta già pensando al fatto che alle primarie i suoi elettori aumenteranno di grosso grazie a questo smottamento. Saranno voti nuovi, voti che non sono giunti alle precedenti primarie, quelle in cui Renzi è stato sonoramente battuto da Bersani.

E il sindaco ha anche i sondaggi che lo confortano: il centrosinistra con lui alla guida avrebbe il 41 per cento e il centrodestra dieci punti di meno, mentre senza di lui lo schieramento Pd e cespugli arriverebbe al 30 e gli avversari avrebbero il 35 per cento. Non a caso personaggi come Irene Tinagli e Andrea Romano stanno pensando di andare con Renzi.

Ma il lavorìo del sindaco non si limita a questo. Sta preparando anche un documento politico che dovrebbe intitolarsi il «nuovo Pd», in cui i temi del lavoro e dell’economia la faranno da protagonisti. Ma è su un altro punto che in questi giorni il sindaco sta incentrando la propria attenzione: sul tema della forma partito. «Dobbiamo interrogarci — è il suo ragionamento — su come si possa costruire un partito senza tutti quei finanziamenti che noi vogliamo abolire, sperando che il governo e il partito vogliano fare altrettanto, senza limitarsi agli annunci».

Perciò il Pd che sogna Renzi è un partito «aperto, privo di una struttura organizzativa rigida», in cui saranno «benvenute» anche le «iniziative locali autonome». L’importante è che ci sia un «coordinamento di fondo» ma senza un apparato che soffochi e che non consenta alla periferia di esprimersi. «Abbiamo tanti sindaci e amministratori locali bravissimi a cui dobbiamo affidarci se vogliamo che il Pd diventi sul serio un nuovo Pd», è il ritornello del sindaco. E non finisce qui: Renzi pensa anche a «organizzare dei think tank e delle aree di lavoro in Rete», che bypasseranno gli iter tradizionali, consentendo a ognuno di partecipare al lavoro di elaborazione del partito, escludendo, di fatto, la creazione di «correnti cristallizzate» e di «rendite di posizione».

Un partito in Rete, dunque, in cui una «squadra gioca per il leader e non contro, come è stato finora». Ma i maggiorenti del Pd tentano ancora di stoppare Renzi. I bersaniani immaginano un tandem con il sindaco candidato premier ed Epifani segretario, però la risposta dei diretti interessati è significativa. Dice Renzi: «Che cavolata». Sostiene Epifani: «Questa storia non l’ho mai sentita».

Anche il tentativo di dividere le figure del segretario e del candidato premier sembra destinato a fallire. Tant’è vero che uno dei sostenitori di questo schema, D’Alema, capita l’antifona, fa un passo indietro e si butta sulla Roma. Paolo Cento, presidente dell’associazione giallorossa in Parlamento gli offre il posto di presidente onorario che fu di Andreotti. L’ex premier accetta e rilancia: «Per caso non posso fare anche il presidente effettivo?».

Maria Teresa Meli


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