Il Brasile in rivolta contro i Mondiali 400 mila in piazza

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RIO DE JANEIRO — Sono in tanti, in tutte le grandi città, come il Brasile non ne vedeva da decenni, dal tramonto della dittatura militare e poi impeachment del primo presidente eletto, Fernando Collor (1992). Marciano per ore con calma e allegria, poi le solite frange incappucciate da corteo approfittano di forze dell’ordine poco allenate alla piazza, e passano al vandalismo. Impressionanti le immagini dei Parlamenti statali di Rio de Janeiro e San Paolo invasi, tra molotov, auto bruciate, lacrimogeni e botte di risposta. Suggestivo ma innocuo l’assalto al Congresso nazionale a Brasilia, con centinaia di ragazzi che scalano il tetto, si piazzano tra le cupole disegnate da Oscar Niemeyer per la capitale del futuro, come fossero sul muro di Berlino nel 1989.
È che in Brasile, d’improvviso, un muro sta davvero crollando, ed è quello dell’apatia e della rassegnazione: non è vero che va tutto bene, che il risveglio del gigante addormentato, nuova potenza mondiale, sta facendo bene a tutti. I detonatori della protesta sono relativi: pochi spiccioli di aumento del biglietto dell’autobus; l’aumento dell’inflazione; le spese per i grandi eventi sportivi, la Confederations Cup in corso, poi i Mondiali e le Olimpiadi. Ma c’è molto d’altro. La miccia dei ritocchi a San Paolo è stata paragonata agli alberi di Gezi Park a Istanbul; e simili sono i richiami alle primavere di altre parti del mondo, come la mobilitazione attraverso le reti sociali. Ma i problemi sono molti e seri. Il trasporto pubblico nelle grandi città brasiliane è uno scandalo: caro, inefficiente e addirittura pericoloso. «Prezzi tedeschi e servizi cubani», come era scritto in un cartello. La festa della crescita economica è finita, e i prezzi aumentano a ritmi che gli indici ufficiali ignorano. Tutti hanno davanti agli occhi i faraonici stadi per i Mondiali, quasi pronti, ma non vedono quasi nulla di quanto il Brasile ha giurato di consegnare insieme agli impianti: metrò, corridoi veloci, sicurezza nelle città. E poi le promesse mai mantenute, una scuola migliore, ospedali non da Terzo Mondo, meno corruzione.
In città dove le marce «contro l’impunità» raccoglievano poche centinaia di persone, la stima di 300-400.000 manifestanti nella sola giornata di lunedì è definita «storica». Da cui l’impreparazione delle forze dell’ordine e dei politici. Non ci sono vittime ma la prima reazione della polizia di San Paolo, a colpi di proiettili di gomma sparati da vicino e manganellate a caso è stata considerata maldestra ed eccessiva. Il risultato è che nella marcia successiva, quella di lunedì, i vandali hanno potuto fare quello che han voluto.
Il fatto che la protesta avvenga fuori dai partiti, dalle sigle sindacali e studentesche riconosciute, mette in difficoltà soprattutto il Pt di Lula e Dilma Rousseff, al potere da un decennio, durante il quale i movimenti sociali sono stati cooptati. E così la prima reazione della sinistra brasiliana è stata quella di accusare i manifestanti di essere di destra, classe borghese, di non rappresentare i milioni di cittadini che le politiche sociali hanno tolto dalla fame e dalla povertà. In parte è vero, in piazza non ci sono le facce degli ambulanti e dei favelados; ma le ragioni della protesta raccontano un modello che si sta esaurendo, fatto solo di incentivi ai consumi, e fragile per tutti.


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