L’altolà del Colle a chi accarezza l’idea del voto anticipato

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Le punture continue nei confronti di Palazzo Chigi e gli avvertimenti che rivolge a Guglielmo Epifani, attuale segretario del Pd, finiscono per apparire segni di debolezza. È come se il sindaco di Firenze, nonostante la popolarità e la forza di attrazione elettorale di cui gode, subodorasse trappole ovunque. La sconfitta alle primarie ha lasciato un segno non smaltito: almeno psicologicamente.
Soprattutto, pochi nel Pd ritengono che sia possibile sacrificare gli equilibri di governo alle ambizioni di Renzi; e non soltanto nel Pd. Su un piano del tutto diverso, squisitamente istituzionale, e allargando il monito oltre la sinistra, ieri Giorgio Napolitano ha usato parole nette. Il capo dello Stato parlava di riforme. E ha ammonito che si faranno «solo se non sarà sottoposta a scosse e messa in questione la continuità del governo nato a fine aprile e la continuità del Parlamento eletto a fine febbraio». Traduzione: chi lavora per una crisi della maggioranza anomala Pd-Pdl-Scelta civica, o peggio accarezza l’idea del voto anticipato, porterebbe l’Italia nel caos.
Il riferimento del presidente della Repubblica a «meschini calcoli di convenienza» da evitare da parte delle forze politiche va nella stessa direzione. E trova una sponda nell’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, il quale indirettamente dice a Renzi: in teoria puoi anche trovare il nostro aiuto nella corsa al vertice del partito, ma la guida di Palazzo Chigi non va messa in discussione. «Oggi si parla della segreteria del Pd, non della sfida per il governo. Il premier c’è già ed è un dirigente del Pd». Dicendolo, in realtà, Bersani non parla solo al sindaco di Firenze ma a quanti nel suo partito puntano a un congresso nel quale invece i due ruoli restino unificati.
Walter Veltroni ritiene che sia la premessa per mantenere «una democrazia bipolare». L’ex segretario e vice-presidente del Consiglio dell’Ulivo vuole «l’identificazione del segretario con il candidato premier». E liquida Enrico Letta come presidente del Consiglio di un governo d’emergenza «non scelto con le primarie», e dunque non legittimato. Ma nel momento in cui dichiara il proprio sostegno a Renzi, Veltroni aggiunge consigli almeno all’apparenza demolitori per il proprio candidato. Lo invita infatti a coltivare «la profondità». Lo avverte di stare attento a «non avere l’idea che basti qualche battuta per conquistare gli elettori». E gli addita non una marcia trionfale ma un percorso di guerriglia.
Lo scenario evocato per Renzi è quello di un leader in embrione che «rischia di essere triturato come è capitato a me. Io sono stato abbattuto dal fuoco amico», ricorda Veltroni. E gli consiglia di stare fuori dalle mischie interne al Pd, «tra amicizie sincere e inimicizie mascherate», mostrando un partito minato dalle correnti. Lo sfondo che sta prendendo forma è quello di un congresso da espugnare. E più Renzi mostra di avere fretta, più gli avversari giocano sulla sua impazienza per logorarlo. Gli attacchi di Beppe Grillo lo aiutano, l’appoggio di Nichi Vendola forse un po’ meno. La sensazione è che la sua battaglia sarà lunga: più di quanto presuma e pretenda.


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