Tensione all’assemblea dei 5 Stelle: dossier sui media, lite sull’Afghanistan

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ROMA — Poco prima dell’ennesima assemblea congiunta, Massimo Artini incontra Massimo Baroni e i due si abbracciano a lungo: «Ne avevamo bisogno, c’è stato troppo nervosismo». Gesto che la dice lunga sullo stato d’animo dei parlamentari a 5 Stelle, scossi dall’addio di Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, ma anche dal velenoso seguito a base di insulti e persino minacce (online). Ma questo non pare che l’inizio, visto che si vocifera di altri addii imminenti. La strategia del Movimento, a questo punto, è di incoraggiare chi non condivide più la linea perché, come spiega Carla Ruocco, chi è irrequieto rischia di «inquinare». E la stampa non aiuta: tanto che Riccardo Nuti ha fatto una dura requisitoria contro chi rilascia interviste «sgradite». E Alessio Villarosa, nel frattempo, sta ultimando un dossier contro «gli errori» dei giornalisti.
L’assemblea, presenti 80 su 160, era stata indetta con un ordine del giorno sibillino: «Chiarimenti sul comportamento fuori e dentro il gruppo rispetto alle decisioni assembleari». Frase accolta da molti come l’ennesimo tentativo di bloccare qualunque forma di pensiero non in linea con i vertici. Si è cominciato con cautela, parlando innanzitutto dell’annosa questione: a quale fondo destinare il surplus della diaria? Si è deciso per la Tesoreria dello Stato, in un fondo che dovrebbe essere riservato all’abbassamento delle tasse. Ma la questione ne lascia in sospeso un’altra, più rilevante: restituiranno tutti la parte di diaria non rendicontata? Nessuno vuole mostrarsi in polemica sui soldi. Ma questo non significa che tutti siano pronti a restituire il denaro. Anzi. Le prossime fuoriuscite, se ci saranno, saranno ammantate da ragioni di dissenso politico.
Quello che sembra certo è che se emorragia dev’essere, la linea è provare ad accelerarla. Lo ripete da tempo il capogruppo Riccardo Nuti e lo ha ripetuto ieri Alessandro Di Battista: «Noi non cacciamo nessuno, ma se qualcuno vuole uscire, si accomodi».
Le motivazioni di dissenso non mancano. Ieri, per esempio, c’era da commemorare il militare italiano ucciso in Afghanistan. Diversi esponenti hanno presenziato ai funerali, a cominciare dal vicecapogruppo Alessio Villarosa. Eppure anche su questo si sono registrati mugugni. Qualcuno avrebbe volentieri evitato di presenziare a un evento che si ricollega a una missione considerata di guerra. Tra questi il senatore Marco Scibona, che raccontano infuriato.
Ma il vero problema è la linea politica. L’interventismo verbale di Beppe Grillo non piace a tutti. E alcuni vorrebbero una presa di posizione del gruppo, per prendere ufficialmente le distanze dal «megafono», ormai troppo ingombrante. Superate le amministrative, non è escluso che si arrivi a un voto in assemblea.
Così come non è affatto chiusa la questione Stefano Rodotà, ricusato da Grillo a causa di qualche garbata critica al Movimento. Ieri il professore ha partecipato a un’assemblea con Laura Boldrini sul tema del web, intitolato «Parole libere o parole d’odio». Difficile non vedere riferimenti ai 5 Stelle. Eppure erano ben sei i parlamentari presenti.


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