Crolla il forte leghista Dopo 19 anni Treviso licenzia lo «Sceriffo»

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TREVISO — Treviso è caduta. Loro, i leghisti, non ci credono ancora: «È impossibile, impossibile… » mormora un sostenitore guardando il corteo guidato dal vincitore, Giovanni Manildo, dilagare nella piazza dei Signori. Lo «Sceriffo», 84 anni il prossimo agosto, non la prende bene. Per niente: «Con oggi Giancarlo Gentilini scompare dalla faccia della terra» sbotta parlando di sé stesso in terza persona. Ma è il primo ad ammetterlo: «Si è chiusa un’era e Gentilini è finito». Poi, la rabbia torna a prendere il sopravvento: «Ma è stato un naufragio a tre, perché si è chiusa anche l’era del Pdl e della Lega: io i voti li ho presi, ma mi è mancato il supporto dei partiti. Mi han lasciato nel fango della sinistra. Sarà che Treviso non interessa più».
Neppure un dubbio sul fatto che un candidato ottuagenario che ha governato la città negli ultimi 19 anni potesse non offrire più prospettive a una città che si sta scoprendo sempre meno ricca, sempre più incerta sul futuro, sempre più lontana dal modello del nord-est vincente di cui fu l’incarnazione stessa. E così, lo sceriffo fin qui sicuro di se stesso ai confini della sbruffonaggine, lascia al mansueto capo scout Manildo ben 11 punti: si ferma al 44,5% contro il 55,5%. Con un’affluenza che è sì calata, dal 63,5 al 58,1%. Ma non in maniera tale da apparire così determinante.
Probabilmente è proprio finita un’era. Una campagna tutta giocata sull’anticomunismo viscerale da parte dell’ex prosindaco che in un ufficio esibisce una bandiera della X Mas non ha probabilmente aiutato. Né, a giudicare dal voto, ha convinto la ringhiosa campagna contro colui che, suo malgrado, è diventato il simbolo del ballottaggio trevigiano: il 22enne figlio di genitori marocchini Said Chaibi, eletto nelle liste di Sel, «omaggiato» dalla pubblicità offerta da volantini leghisti che lo dipingevano come la quintessenza del «pericolo rosso».
Il vincitore, Manildo, comunque, riconosce l’onore delle armi. È mentre l’anziano Sceriffo ancora parla dei «cosacchi» in arrivo in città, lui rende omaggio. Lo va a trovare a Cà Sugana e, dice, «gli ho fatto i complimenti perché a differenza di qualcuno dei suoi che hanno avuto qualche caduta di stile becera, lui è stato molto bravo. A lui tendo la mano». Ma anche l’educatissimo vincitore lo dice chiaro: «Essere riusciti a raggiungere questo risultato è qualcosa di storico. Si apre una nuova era per Treviso». E in effetti, la caduta di Treviso non è soltanto la perdita di una città da 80 mila abitanti. La capitale della Marca è stata la terra promessa del leghismo veneto, ancora più orgoglioso di sé che non quello lombardo. È la caduta di quello che un tempo veniva chiamato lo Zaiastan, buona amministrazione che soltanto i critici più ingenerosi potevano liquidare come il «partito delle rotonde stradali». Un modello di integrazione, anche, a dispetto delle perpetue tirate anti immigrati. Ma, ora, tutto è da ripensare. Non si tratta solo del cartello simbolo della giornata «Treviso città deleghistizzata». Perché in Veneto la Lega ha perso tutto quello che poteva perdere. I ballottaggi nei comuni principali, da San Donà di Piave a Sona a Bussolengo l’hanno vista sempre soccombente. Un problema serio per il segretario Flavio Tosi: «Sarebbe sciocco — ha ammesso — negare la sconfitta».


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