I diritti essenziali oltre il Patto
Ad una lettura semplificata, il comune non avrebbe potuto farlo: un buco di bilancio, consolidatosi nel tempo, molto rilevante e una spesa per il personale superiore al 50% dell’intera spesa. Tutte condizioni che impedivano una delibera dalla quale sarebbero derivati circa 300 contratti a tempo determinato.
La nostra scelta, invece, ha costruito un altro percorso logico. Innanzitutto, ci sono funzioni tutelate dalla Costituzione che non possono essere disattese per motivi di contenimento della spesa pubblica. Questo riguarda l’inserimento degli alunni disabili (ormai un dato acquisito anche sull’onda di una valanga di pareri e sentenze) ma c’è anche la garanzia del servizio comunale rivolto ai nidi e alle scuole dell’infanzia. Inoltre, come affermato da pareri di varie Corti dei Conti, ci sono attività dell’ente locale che non sono «fungibili», che se non esercitati non possono genericamente essere delegate ad altro soggetto ma il cui esercizio connota la natura stessa dell’ente locale. Abbiamo valutato, inoltre, che il servizio garantito dal comune non è genericamente uno fra i tanti, per cui se c’è un altro soggetto (di qualunque natura sia la sua ragione istitutiva) a questo punto l’ente locale può genericamente delegare e non garantire un servizio a chi l’ha scelto iscrivendosi alla sua scuola. A ciò noi abbiamo aggiunto considerazioni sul che cosa avrebbe determinato per i diritti di cittadinanza di migliaia di bambine e bambini il ritrarsi di un’offerta pubblica, a partire da un sicuro incremento della già altissima dispersione scolastica. Migliaia di bambini, prima ancora di cominciare una vita di relazioni forti, non sarebbero stati messi nelle condizioni per costruirsi un proprio progetto di vita.
Sulla base di queste considerazioni noi abbiamo deciso di procedere affermando che i vincoli sulla spesa pubblica sono un vincolo per tutti ma che circa il raggiungimento degli obiettivi fissati dal parlamento c’è una sacrosanta autonomia dell’ente locale alla quale non intendevamo rinunciare.
Abbiamo affermato e motivato princìpi, abbiamo dichiarato che intendevamo esercitare la Costituzione ed abbiamo scelto una procedura rigorosa, perché l’affermazione dei diritti è coerente se non significa irresponsabilità del soggetto pubblico. In altre parole, pur con dolore abbiamo scritto in delibera che avremmo recuperato le maggiori spese dalla nomina delle insegnanti con una riduzione di altre voci non altrettanto indispensabili.
Queste le motivazioni a base della nostra decisione.
Sul versante personale posso dire di aver proposto al sindaco questa strada il giorno prima della mia nomina ad assessore, di essere stato accolto da un immediato consenso e condivisione sul percorso tanto che nella conferenza stampa del giorno successivo, a presentazione della giunta, De Magistris pubblicamente rese noto l’impegno assunto da parte di chi, la città , aveva scelto di stare dalla parte delle bambine e dei bambini.
Ora abbiamo una notizia destinata ad essere apprezzata e a far discutere, ad avviare una vera e sacrosanta «rivoluzione civile»: nella giornata di ieri la Corte dei Conti della Campania ha licenziato una pronuncia di grandissimo rilievo che interpreta in modo avanzato una parte importante di legislazione in materia di contenimento della spesa e di autonomia degli enti locali. Il punto centrale può essere così riassunto: i vincoli di bilancio non possono mettere in discussione i diritti costituzionalmente garantiti che devono essere erogati anche se in deroga al patto di stabilità . La Corte dei Conti ha ritenuto che «non ci sono i presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità » nei confronti del comune di Napoli sul caso dell’assunzione delle maestre, il cui servizio, a detta della stessa Corte, è essenziale e di primaria importanza. In sostanza, Napoli – con una spesa complessiva per il personale superiore ai limiti di legge e, quindi, nella teorica impossibilità di poter assumere anche in modo precario- ha ben fatto ad assumere al 1 settembre 2012 le maestre – come recita la sentenza della Corte – «per garantire la continuità dei servizi educativi della scuola dell’infanzia e degli asili nido comunali», anche se in spregio alla normativa in tema di patto di stabilità , «in forza – continua la sentenza – di una legittimazione proveniente da ragioni di necessità di assicurare un servizio essenziale e infungibile» per i cittadini. Quindi, pur dentro ai vincoli della finanza pubblica, è legittimo difendere prerogative che la Costituzione affida ai Comuni sul versante dei servizi e dell’educazione. Per la Corte dei Conti, la Delibera che autorizza le nomine delle insegnanti precarie, non ha provocato alcun danno all’amministrazione comunale, proprio perché si fonda sul dettato costituzionale che vede nella scuola un presidio fondamentale della cittadinanza. «In conclusione del complesso giurisprudenziale delineato – si legge nel dispositivo della sentenza – si evince che le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali non possono comprimere i diritti infungibili e funzioni fondamentali. Non ci si trova quindi di fronte a un’ipotesi di violazione della legge, ma solo in presenza di un’applicazione della legge di stabilità ispirata dalle indicazioni della Magistratura contabile degli Organi di giustizia europea, nonché della Conferenza delle Regioni». Non a caso il riferimento è a numerosi pareri della Corte dei Conti che salvaguardano l’autonomia dei comuni in merito alle scelte da compiere rispetto alla riduzione della spesa e che individuano con chiarezza assoluta la specificità di funzioni considerate «infungibili», riconoscendo loro – anche in una condizione di pesante difficoltà di bilancio – un profilo diverso dalle spese ordinarie.
E che la scuola pubblica abbia caratteristiche di «infungibilità » per un comune a noi pare questione neanche da discutere. E non è pensabile, sul versante generale e normativo, la banale constatazione che alcune funzioni possono esercitarle anche soggetti privati. Perché questo non può negare l’esercizio di un forte ruolo pubblico che la nostra Costituzione ci affida. Infine, richiamarsi all’obbedienza alla Costituzione significa anche saper scegliere. Il comune di Napoli ha scelto di stare dalla parte delle bambine e dei bambini senza demagogia e senza alcuna intenzione di aprire una stagione della «spesa facile». Che la Corte dei Conti abbia riscontrato come corretto il nostro comportamento rappresenta un fatto positivo per noi e, nell’immediato futuro, per tanti altri comuni.
Infatti, la nostra azione – suffragata dal giudizio di un autorevole organo di controllo – ha prodotto un beneficio generale, cioè si può cambiare tanta attività interpretativa pedissequa che metteva sotto il dettato dei vincoli di spesa i diritti costituzionalmente garantiti dalla nostra Costituzione. Il parere della Corte conferma il capovolgimento di questo piatto (e dolorosissimo nelle sue conseguenze) paradigma.
Un fatto di civiltà ora a disposizione di una stagione che deve sostituire al cieco risparmio che scarica contraddizioni e sofferenze sui territori, e sui soggetti più deboli in particolare, indifferente ad ognuno nella freddezza dei numeri, la scelta di partire dai diritti per affermare le scelte sulle spese.
Vanno in crisi – in questo modo – alcuni decenni di politiche monetaristiche. Che un Comune abbia svolto un ruolo di apripista e che un organo di controllo ne abbia confermato la correttezza dell’impostazione è motivo di gioia per tutti coloro che non hanno mai rinunciato a voler affermare un altro principio.
* Assessore al lavoro e allo Sviluppo del comune di Napoli
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