I distinguo sulle riforme rischiano di accreditare le velleità  di Grillo

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Le critiche liquidatorie al progetto avanzate dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che si vede come possibile candidato a Palazzo Chigi al posto del premier, Enrico Letta, sono indicative. Danno voce a perplessità  che uniscono esponenti della sinistra come Anna Finocchiaro e Walter Veltroni, contrari a un minimalismo riformista dietro il quale intravedono un attentato al bipolarismo. È una polemica insidiosa, perché potrebbe fermare il tentativo del governo prima ancora che decolli.
Al punto che ieri il ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, del Pdl, ha voluto puntualizzare che l’operazione serve a consolidare il bipolarismo, e non ad affossarlo. Secondo il ministro, dare eccessiva importanza alle modifiche della legge attuale significa perdere di vista l’obiettivo finale; e di fatto lavorare perché non se ne faccia nulla. È un monito a non trasformare l’ultimo impegno in materia di riforme nell’ennesima dimostrazione di impotenza dei partiti. È un rischio presente, e spaventa almeno quanto i cambiamenti, seppure controversi.
La lezione elettorale di febbraio, con l’impennata dei consensi al movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, è stata interpretata anche come una «punizione» nei confronti di partiti incapaci di qualunque riforma: tanto più dopo averne promesse molte, tranne poi scaricare la responsabilità  dell’immobilismo sugli avversari. E Grillo è ancora sul palcoscenico delle piazze italiane, in difficoltà  per la prova che danno i suoi parlamentari ma più aggressivo di prima. «La politica, forse troppo tardi, ha capito la lezione. Ora deve applicare quello che ha capito», assicura agli industriali Enrico Letta, a partire dal taglio ai costi della politica. L’alternativa sono le riforme istituzionali grilline che, per quanto irrealizzabili e strampalate, possono far breccia in spezzoni di elettorato in attesa da tempo di risposte e atti di governo dei partiti tradizionali.
Più tardi queste risposte arriveranno, più il fascino di ricette demagogiche aumenterà  pericolosamente. Grillo che ieri rilancia l’ipotesi di «indire un referendum per dire sì o no all’euro e sì o no all’Europa», sa di cogliere umori anti-Ue in aumento un po’ dovunque. È di ieri la notizia di un «Movimento 5 Stelle» anti-sistema, in incubazione nella stessa Germania del cancelliere Angela Merkel. Importa poco che il referendum sia un abbaglio: a Grillo serve come grimaldello elettorale in vista delle europee del 2014. E se per caso l’anno prossimo si interrompesse anche la legislatura e ci fossero elezioni anticipate, sarebbe un ottimo argomento polemico. Sostenere pomposamente di «volere rifare l’Italia da capo cominciando a ridiscutere gli accordi europei» è uno slogan velleitario. Ma in assenza di anticorpi potrebbe fare proseliti e produrre imitatori.
Anche perché si somma alle tensioni che accompagnano il cammino della coalizione anomala di Enrico Letta in tema di giustizia. Ieri, sia le motivazioni della Corte di Cassazione per il «no» a spostare i processi a Silvio Berlusconi da Milano a Brescia, sia quelle della Corte d’Appello del capoluogo lombardo sulla frode fiscale dei diritti tv di Mediaset hanno creato nuovo nervosismo. È vero che erano attese. E gli uomini del Cavaliere come il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, si sono affrettati a ribadire che il governo non cadrà  sulla giustizia. Ma lo scontro fra il Pdl di Berlusconi che attacca le «motivazioni surreali», le definisce così, e la magistratura, si conferma una costante destinata a non scomparire nei prossimi mesi; e a influenzare i rapporti con un Pd che già  soffre l’alleanza governativa col centrodestra.


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