Porcellum, scontro sui «mini ritocchi»

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ROMA — Dopo il Porcellinum, il Porcinellum, l’Inciucellum e l’Obbrobrium, ecco spuntare il Maialinum. Copyright quest’ultimo di Matteo Renzi, che aggiunge al lungo elenco di epiteti dispregiativi un nuovo conio per la rivisitazione annunciata del vecchio Porcellum, ovvero della legge elettorale attuale, scritta da Roberto Calderoli, ma voluta da molti partiti. Che non piaccia al Pd, l’ipotesi di modifica su cui sta trattando il governo in questi giorni, è ormai un dato acclarato. Così come è noto che nel partito di Guglielmo Epifani ci siano idee diverse su come rimediare a una legge unanimemente ripudiata e su come impedire che la Consulta la dichiari incostituzionale.
Alle accese discussioni interne del Pd vorrebbe sottrarsi Dario Franceschini, che è esponente di rilievo del partito ma in questa fase è soprattutto ministro per i Rapporti con il Parlamento ed emissario del governo. Ieri alla riunione del Pd c’è stato uno scontro con Roberto Giachetti, frutto di quello che, dal suo punto di vista, è soprattutto un equivoco. Perché l’annuncio dell’intesa di maggioranza è stato dato dal Pdl, che ha subito parlato (a nome di tutti) di una riforma «minimale», spiegando che il tetto per il premio di maggioranza sarebbe stato fissato al 40 per cento, rendendo così sostanzialmente impossibile il raggiungimento del quorum. Franceschini ha poi spiegato (ma ormai il vortice delle dichiarazioni era partito) che l’intesa raggiunta è solo sulla necessità  di stabilire una norma di «salvaguardia», per evitare la mannaia di incostituzionalità  della Consulta, e che la riforma sarà  fatta entro l’estate.
Viste le divergenze, si è deciso in queste ore che la mozione di maggioranza sulle riforme costituzionali, che sarà  presentata mercoledì, conterrà  un’appendice sulla legge elettorale, con i principi (ancora generici) e l’indicazione della data, il 31 luglio, entro il quale ci sarà  il varo in prima lettura.
Le opinioni in materia restano tante e confuse. A cominciare dalla portata della riforma. La road map del governo prevede un intervento temporaneo immediato e il varo di una vera legge elettorale più avanti, tra un anno. Non è questa la tesi di molti nel Pd. Anche se Gaetano Quagliariello, che per il Pdl si sta occupando della materia, tranquillizza: «Le cose sono più semplici di come appaiono. Leggendo i giornali ci si confonde le idee».
Renzi ieri è intervenuto con nettezza, respingendo l’ipotesi di una riforma lieve del sistema attuale: «Il Porcellum non si può correggere o emendare. Se si vuole cambiare, si abbia il coraggio di farlo davvero e si vada a votare con la legge che decide i sindaci delle città . Serve una legge elettorale seria, in cui un minuto dopo le elezioni si sa chi ha vinto e si sa chi ha perso». I renziani sarebbero pronti a far naufragare l’accordo, ma sulle loro tesi è schierato quasi tutto il partito. O meglio, sulla tesi del no al Porcellinum, o come lo si vuole chiamare. Perché, invece, in chiave construens, la soluzione prevalente nel partito è quella di un ritorno al Mattarellum, il sistema misto che prevede un 75 per cento di maggioritario e un 25 di proporzionale. Nel Pd sono in molti a chiederlo: da Sandra Zampa a Andrea Martella, da Anna Finocchiaro a Nichi Vendola. Quello che non serve, spiega Gianni Cuperlo è «un maquillage a una legge del tutto disastrosa. La riforma elettorale è un’assoluta emergenza».
Ma contro il Mattarellum si scaglia buona parte del Pdl, pronto a fare le barricate. A cominciare da Renato Brunetta: «Sarebbe un non senso tornare al passato proprio quando stiamo lavorando per modificare la Costituzione». Nel Pdl la guardia resta alta: il timore dei falchi è che con la scusa delle modifiche al Porcellum il Pd prenda tempo per superare la finestra di ottobre e impedire così un ritorno anticipato al voto. Una sorta di «clausola di salvaguardia», non della legge elettorale ma «del governo stesso». C’è poi chi ritiene che le riforme costituzionali non si faranno affatto e che dopo i ritocchi al Porcellum, si tornerà  a votare con un sistema che non soddisfa affatto il Cavaliere.


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