Aumenta il divario tra ricchi e poveri

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La lotta di classe la fanno i ricchi. Lo dice l’Ocse in un’indagine sulle conseguenze dei tagli alla spesa pubblica e del rigore di bilancio. Le disuguaglianze tra i redditi – stima l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo – sono cresciute dal 2007 al 2010 più che nei 12 anni precedenti. Considerato che le politiche di austerità  sono state adottate in quasi tutti i paesi Ocse nel biennio successivo è probabile che questo gap sia nel frattempo cresciuto. Nel 2010 il 10% più ricco della popolazione nei 34 paesi maggiormente industrializzati guadagnava 9,5 volte il reddito del 10% più povero rispetto al rapporto di 1 a 9 del 2007.
 Il divario è più ampio in Cile, Messico, Turchia, Stati Uniti e Israele e più basso in Islanda, Slovenia, Norvegia e Danimarca. Stesso scenario in Italia dove, alla fine del 2010, il 10% della popolazione più ricca poteva contare su un reddito 10,2 superiore rispetto al 10% più povero. Nel 2007 questo rapporto era fermo all’8,7%. Per l’organizzazione internazionale le politiche dell’austerità  hanno un doppio effetto: da un lato allargano la frattura tra i ricchi e i poveri, dall’altro lato non permettono ai poveri di lavorare e guadagnare di più.
I soggetti più colpiti dagli effetti della crisi sono i bambini e gli adolescenti. Tra i primi la povertà  è cresciuta dal 13% al 14%, tra i secondi dal 12% al 14%. Andamento opposto tra gli anziani dove l’Ocse registra un calo della povertà  dal 15% al 12%. Non solo dunque l’austerità  aumenta le diseguaglianze classiche tra chi ha un patrimonio e chi non ha nulla se non il proprio reddito da lavoro, ma incide anche sulle differenze generazionali. Il prezzo della diseguaglianza è sia economico che generazionale. Il suo principale effetto è quello di scatenare una guerra tra poveri con redditi e età  diverse: disoccupati di lunga durata contro quelli congiunturali, precari contro parasubordinati garantiti ancora per poco, giovani contro anziani. In base ai dati Ocse è possibile osservare questa situazione anche sul tasso di disoccupazione.
A marzo era in lieve calo, dall’8,1% all’8% della forza lavoro complessiva: 48,3 milioni di persone. Nella zona euro la disoccupazione ha tuttavia raggiunto il record del 12,1% (19,2 milioni di persone), mentre negli Usa è scesa ad aprile al 7,5%, anche perché il settore privato ha ricominciato ad assumere. In Italia è all’11,5%, ma nel 2013 aumenterà  fino a sfondare il tetto del 12%. Tra i paesi europei il tasso di disoccupazione segue lo stesso andamento della distribuzione dei redditi. Sono i più giovani, tra i 15 e i 24 anni, a essere penalizzati.
La disoccupazione giovanile resta invariata al 24%, ma aumenta nei paesi dell’Europa meridionale. In Italia è salita al 38,4% a marzo (contro il 37,8% di febbraio). Fanno peggio solo la Grecia con il 59,1% di gennaio e la Spagna con il 55,9%. Di solito a questi ragionamenti condotti sugli indicatori del mercato del lavoro sfugge più di qualcosa, ma almeno un dato può essere considerato: in Italia la disoccupazione giovanile è il triplo di quella di chi ha una posizione lavorativa stabile. Per il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria questi dati impongono «di proteggere la parte più vulnerabile della popolazione, specie se i governi perseguono la necessità  di tenere sotto controllo la spesa pubblica».
 La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è un problema strutturale pertanto l’Ocse chiede di «aumentare la crescita e l’occupazione, al fine di assicurare più equità , efficienza e inclusione». La crescita riduce il deficit e migliora l’equità  tra i redditi. Il problema resta la riduzione del debito e i tagli alla spesa che nessuno considera quando si parla di «temperare» l’austerità . Senza una radicale messa in discussione dei suoi principi, gli unici vincitori della depressione saranno i ricchi.


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