LA CARTA TRADITA SUL LAVORO

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Gli articoli della Costituzione italiana sono, quanto ad applicazioni in forma di politiche economiche e sociali e di legislazione sul lavoro, tra i più negletti dell’intera Carta. Lo ricorda con l’usuale limpidezza espositiva il nuovo saggio di Gustavo Zagrebelsky (Fondata sul lavoro. La solitudine dell’articolo 1,
Einaudi, pagg. 80, euro 10). Che ne individua le ragioni in una serie di capovolgimenti del rapporto tra economia e dettato costituzionale avvenuti negli ultimi anni.
Ponendo con l’articolo 1 il lavoro a fondamento della Repubblica, i costituenti intendevano stabilire il principio che dal lavoro dipendono le politiche economiche, e da queste il governo dell’economia. «Oggi – esordisce l’autore – assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato; dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro». In forza di detto rovesciamento, tutti gli articoli inerenti al lavoro sono stati posti in soffitta dagli ultimi governi.
Qualcuno potrebbe obiettare che l’art. 1 è affatto generico, per cui non si vede quali politiche economiche e sociali potrebbero da esso discendere e nemmeno quali potrebbero contraddirlo. Quel qualcuno dovrebbe anzitutto riguardarsi la massa dei commenti e delle sentenze della Suprema Corte. Essi hanno per lo più interpretato il senso dell’articolo stesso come affermazione del principio che il lavoro va tenuto in alto non solo perché serve a conseguire i mezzi di sussistenza, ma ancor più perché è un tramite per l’affermazione della personalità  (come scrisse un grande studioso della carta, Costantino Mortati).
Ma se anche fosse sensata l’obiezione per cui l’art. 1, dal quale muove la pacata quanto severa analisi di Zagrebelsky, è stato dimenticato perché è inconclusivo, vi sono nella Costituzione altri numerosi articoli dal contenuto quanto mai esplicito, che la politica, il governo, i parlamenti hanno ignorato, quando non abbiano provveduto a calpestarli. Quando mai si sono sentiti dei politici, anche del centro-sinistra, pretendere che il governo dovrebbe adoperarsi per rendere effettivo il diritto di tutti i cittadini al lavoro (art. 4); alla tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35); a una retribuzione proporzionata alla quantità  e qualità  del loro lavoro (art. 36); a vedere assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità , vecchiaia, disoccupazione (art. 38)?
L’autore individua le cause di tali omissioni, che talora si configurano come ferite inferte al tessuto stesso della Costituzione, in una serie di capovolgimenti intervenuti alcuni di recente, altri maturati più addietro nel tempo. Tra questi si colloca la resistibile ascesa della finanza come fine a sé stessa, erettasi a controllore dell’economia reale, anziché fungere come dovrebbe da sostegno di questa. Quando la finanza arriva a imporsi in questo modo «è nemica della Costituzione, oltre che nemica dei popoli su cui si abbatte». È un’economia fittizia, che diversamente da quella reale non produce lavoro né stabilità  sociale bensì il loro contrario «e favorisce i pochi signori della finanza, fino a quando non saranno anch’essi travolti, e noi con loro ma prima di loro».
Un altro capovolgimento che l’autore denuncia è un articolo infilato in una legge finanziaria di pochi anni fa (si tratta del famigerato articolo 8, se ben ricordo), in forza del quale a fronte di un accordo tra un’impresa e sindacati locali è possibile derogare da tutti i dispositivi esistenti, legislativi e contrattuali, in tema di criteri di assunzione, tipologia di contratto, orari, mansioni – tutto quanto forma, in sostanza, le condizioni in cui una persona lavora. Si tratta, nell’insieme, di rovesciamenti della Costituzione passati in fondo sotto silenzio, quasi fossero modeste infrazioni al codice della strada, quando in parlamento e nei media la voce dell’opposizione avrebbe dovuto levarsi fortissima e chiara.
Drammatica suona l’ultima pagina. I rovesciamenti costituzionali di cui si è detto, si chiede e ci chiede l’autore, «sono solo eventualità  che possono correggersi, governare, contrastare? Oppure sono necessità  che possono solo essere assecondate, perché ogni resistenza sarebbe vana?». Se vale questa seconda risposta, dovremmo riconoscere che nella parte che riguarda il lavoro, la Costituzione andrebbe considerata superata. Chi scrive ha dovuto farsi molta forza per concludere che forse la prima risposta ha ancora qualche base nel nostro paese.
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IL LIBRO
Fondata sul lavoro di Gustavo Zagrebelsky (Einaudi pagg. 80 euro 10)


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