La battaglia dei pescatori che vogliono salvare il mare

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CANALE DI SICILIA. I pescherecci si avvicinano, l’Ardito riceve dal Santo Padre la cima della rete. Le due “volanti” l’hanno trainata affiancate a una ventina di metri l’una dall’altra, pescando tutto quel che potevano in una bella mattina primaverile di mare non troppo mosso nel Canale di Sicilia. Il verricello avvolge. Metri e metri senza neppure un’alga impigliata. Passano i minuti, quattro, cinque. E riemerge il frutto di tanto lavoro: il fondo di quell’enorme rete, con dentro pesce buono sì e no per garantire la serata di un paio di ristoranti. Il gommone di Greenpeace si avvicina, gli attivisti stendono uno striscione: «Questa pesca svuota il mare». È l’unico “assalto” ai pescherecci di questo lungo viaggio della Arctic Sunrise di Greenpeace, partito il 18 marzo dal Mar Nero di Constanta, Romania, con l’obiettivo di spingere i ministri europei della Pesca, riuniti proprio ieri per discuterne, a varare, infine, la riforma delle regole che hanno trasformato il mare in una fabbrica e concentrare sforzi e aiuti in un’altra direzione, quella dei pescatori artigianali. È nel corso della scorsa serata che la presidenza irlandese dell’Ue, in scadenza a giugno, ha deciso di portare avanti la discussione a oltranza nella nottata: vuole avere in mano oggi il mandato per il confronto finale con l’Europarlamento.
Il titolo di questa storia è semplice: i pesci non sono più nel mare, non veniteli a pescare. O perlomeno, fatelo come Jerry Percy, Guy Vaudo, Dimitris Zannes, o il signor Clipa, pescatori artigianali europei che il pesce lo vanno a cercare nelle stagioni giuste e senza reti a strascico, attenti a preservare i piccoli e a non scaricare in mare metà  e più del pescato perché inutile, come fanno invece i pescherecci industriali. Sono loro i testimonial di questa campagna di Greenpeace per stimolare l’approvazione di una riforma ormai indispensabile, con almeno il 60% degli stock ittici dei mari d’Europa che si sta esaurendo, mentre nel Mediterraneo la percentuale è ormai al 95%. Merluzzi, sogliole, pesce azzurro, vongole, rane pescatrici, pesci spada, tonni: eccoli, i pesci da salvare, sono quelli di tutti i giorni e, tutti, rischiano l’esaurimento.
Dopo aver toccato, oltre alla Romania, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Croazia e Sicilia, ora la Arctic Sunrise è in Spagna. Da Bilbao punterà  sulla Francia di Bayonne,
per poi arrivare a Londra, lungo il Tamigi, l’8 giugno, giornata mondiale dedicata agli oceani. Lì, la attende Jerry Percy, pescatore del Galles: «Noi pescherecci di piccole
dimensioni siamo l’80% della flotta europea», spiega, «linfa vitale di molte comunità , con tutti i posti di lavoro che assicuriamo, ma siamo continuamente penalizzati
da un sistema iniquo, che premia chi usa metodi ad alto impatto ambientale». Dalla Grecia, Dimitris Zannes ricorda: «Siamo il 95% della flotta greca, chiediamo
uguaglianza di accesso alle risorse marine e la loro protezione». Dalla Spagna prosegue Louis Rodriguez, di Cabo de Gata: «Vorremmo solo che i politici ci permettessero di continuare a fare quel che abbiamo fatto per generazioni: mio figlio vuole diventare pescatore come me». A bordo, si sono scambiati la lanterna di Paese in Paese. Il nostromo Alexander Popaul, attivista canadese di Greenpeace, li ha visti passare uno dopo l’altro: «Sono belle persone, aprire la nave a loro e alla loro gente è un’occasione anche per noi, che di solito andiamo contro chi pesca in maniera cattiva, non con quelli che hanno il rispetto del mare di chi di mare vive da
secoli».
Celia Ojeda Martinez, di Greenpeace Spagna, spiega gli obiettivi: «Alla riforma sono contrarie soprattutto Francia e Spagna, ma non solo, e noi ci siamo mobilitati. I pescherecci industriali ributtano a mare persino i pesci non remunerativi, come le spatole, che pure sono ottime: è uno spreco continuo. Per non dire che la flotta europea ha una “capacità ” di pesca fra due e tre volte superiore al pesce che c’è». Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia, continua: «I punti essenziali della riforma sono: ridurre la capacità  di pesca rispettando i valori del “massimo raccolto sostenibile” rilevati dai comitati scientifici. Multare gli Stati che contravvengono. Evitare il pesce rigettato in mare. Aumentare aiuti e accesso alle risorse per la pesca artigianale. E diminuire il finanziamento di quella industriale ». Anche l’Ardito e il Santo Padre sono facilitati dalle autorità . «Da almeno 25 anni», spiega Giannì, «le “volanti” ottengono il rinnovo di una licenza “sperimentale” che permette quel tipo, deleterio, di pesca». Comunque vada a Bruxelles, il viaggio della Arctic Sunrise continua, con i pescatori.


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