“In India per parlare di pace” la prima sfida di Sharif per far ripartire il Pakistan

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LAHORE — Nei giardini dell’elegante sede del Partito della Lega musulmana di Nawaz Sharif a Lahore, ci sono due grandi ritratti del nuovo premier in pectore del Pakistan e del suo fratello più giovane Shahbaz. «La speranza della nazione», c’è scritto. I supporter aspettano inutilmente di vederli arrivare in carne ed ossa: sono pronti a proclamare al mondo il ritorno di Nawaz al potere, il “leone di Lahore” che ha una tigre come simbolo sulla bandiera, le icone di una campagna elettorale sofferta ma libera, condotta tra morti e attentati, eppure conclusa senza cedimenti alle minacce dei fondamentalisti islamici e alla paura. Più del 60 per cento dei pachistani ha espresso la sua preferenza in queste elezioni — non succedeva dagli anni ‘70 — rivoluzionando il quadro politico di un Paese allo stremo, sul baratro della più grande bancarotta della sua storia, con l’Occidente in ansia per le sorti dell’intero Sud dell’Asia.
Questa volta però i supporter resteranno delusi: i fratelli Sharif e i vertici del partito sono riuniti a 30 chilometri da qui, nella sede di Raiwind, il nuovo centro della politica e del potere pachistano, nel cuore del Punjab, a quattro ore di auto dalla capitale Islamabad.
Sono troppe le cose da fare, Nawaz entra ed esce da una riunione di partito e deve decidere fin da queste ore nuove importanti mosse interne e internazionali.
Prima di tutto deve trovare gli alleati per formare un governo: secondo le proiezioni, gli mancano una cinquantina di voti per avere la maggioranza assoluta. Sharif ha offerto di collaborare per risolvere la crisi a tutti i partiti, senza escludere nessuno: né gli ultrareligiosi del Jiamiat Ulema, né il Partito popolare dei Bhutto-Zardari appena sconfitto, né il violento Mqm dei musulmani indiani di Karachi. E neppure il Pti, il Partito della Giustizia guidato dall’ex campione di cricket Imran Khan, balzato al secondo posto e destinato a guidare un’opposizione agguerrita «ma costruttiva», che già  si è fatta sentire rumorosamente nelle piazze della stessa Lahore per contestare i brogli attribuiti proprio al Pml-N.
I seggi di Sharif — sulla base delle proiezioni dovrebbero sfiorare i 130 su 272 dell’Assemblea parlamentare — gli bastano comunque per non avere rivali alla guida di una coalizione di centro destra resa abbastanza solida con il supporto di venti indipendenti, della Lega musulmana detta “Funzionale”, e dell’ortodosso Jiamiat, o Jui, che sono 12. Le sue simpatie per le formazioni religiose e la sua vena spirituale lo rendono il candidato ideale per guidare una trattativa mai sperimentata finora con i Taliban “buoni e cattivi”, e riportare un po’ di pace in una terra martoriata da bombe, attentati e rapimenti quotidiani, ai confini infuocati con l’Afghanistan e l’India. Non a caso la sua prima e unica dichiarazione di ieri è stata una battuta rassicurante verso il nemico storico di New Delhi. «Verro’ in India anche se non sarò invitato », ha detto ai reporter della Ndtv, aggiungendo che la soluzione del problema kashmiro è una delle sue priorità . Subito dopo la telefonata d’invito è giunta davvero con le congratulazioni di Manmohan Singh.
Molti commentatori delle decine di tv che si stanno occupando no stop del clamoroso risultato, esaltano la vittoria di un uomo dal passato di nemico del predominio militare e dell’intelligence Isi nella politica e nell’economia. Un personaggio senza precedenti nel suo genere. Nawaz, che da premier firmò l’autorizzazione a sperimentare la prima atomica islamica al mondo, nel ‘99 fu estromesso per la seconda volta dal governo dall’ex comandante dell’esercito e dittatore Pervez Musharraf, che lo tenne agli arresti per poi aprirgli le porte dell’esilio a Dubai negli Emirati arabi.
Ora è l’ex carceriere a trovarsi agli arresti nella sua fattoria vicino Islamabad, ma la sua sorte non è tra le priorità  del nuovo leader del Paese. Sharif deve correre infatti una gara contro il tempo, sull’orlo di un baratro da migliaia di miliardi di dollari in riserve che si esauriranno entro due mesi da oggi. Deve decidere ad esempio i progetti di sviluppo immediati per riaprire i rubinetti del credito con il Fondo monetario internazionale, così da evitare un’inflazione dagli effetti devastanti, e per questo si è guardato bene dall’attaccare troppo duramente e direttamente la politica americana sulle violazioni dei confini e lo stesso uso degli droni, cavallo di battaglia di Imran Khan che aveva promesso di abbatterli se fosse andato al potere.
Ma allo stesso tempo Sharif chiederà  anche petrolio «in prestito » agli Emirati arabi, da una parte tradizionali alleati degli Usa contro Al Qaeda, dall’altra finanziatori delle madrasse fondamentaliste sunnite in tutto il Paese. Quello dell’energia non è l’ultimo, ma il primo dei problemi che il nuovo governo dovrà  risolvere per mantenere le promesse a un elettorato stremato dalla totale mancanza di combustibile da riscaldamento e da cucina, senza contare la benzina per le auto e l’energia elettrica per le case, visto che oggi in molte regioni viene erogata per solo 4 o 6 ore al giorno.


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