Aliquote sugli immobili, i timori delle aziende per le mosse dei Comuni

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L’anno scorso, rileva l’Ufficio studi dell’Associazione di artigiani, i liberi professionisti hanno pagato quasi il 128% in più, i negozi il 123,5%, i laboratori artigianali oltre il 93%, gli alberghi quasi il 71%, i centri commerciali e i piccoli e grandi capannoni industriali attorno al 70%. «Aumenti da brivido», commenta il segretario della Cgia Giuseppe Bertolussi, lanciando un appello ai sindaci: «Quest’anno non ritoccate all’insù le aliquote sugli immobili di tutte le attività  produttive». L’emendamento al decreto legge 35/2012, approvato in commissione Giustizia giovedì scorso, stabilisce infatti che la prima rata dell’Imu (il 50% dell’intera tassa) debba essere pagata da tutti «sulla base delle aliquote e delle detrazioni dell’anno precedente», quelle cioè decise dai Comuni e usate per il conguaglio di dicembre. Ma il punto è che nessuno impedisce ai Comuni di aumentarle ancora, per recuperare parte del mancato gettito dai proprietari di prima casa. La polemica è scoppiata soprattutto sulle aliquote «per i capannoni», ovvero sugli immobili d’impresa, quelli appartenenti al gruppo catastale D, di cui fanno parte appunto capannoni, alberghi, cliniche private, e in generale fabbricati destinati ad attività  industriale. Nel 2012 le aliquote per questa categoria potevano andare da uno 0,76% minimo previsto dalla legge ad un massimo di 1,06%, e si sono attestate su una media dello 0,96%: ma poiché a partire dal 2013 la quota dello 0,76% sui fabbricati di categoria D andrà  allo Stato, i Comuni avrebbero tutto l’interesse ad aumentare l’aliquota fino all’1,06% acquisendo per intero l’extragettito.
Ma visto che su questo fronte il governo non può agire, aumenta il pressing — a partire da Confindustria — perché venga rivisto un altro aggravio, e cioè il coefficiente moltiplicatore che si applica alla rendita catastale per determinare la base imponibile degli alberghi e dei capannoni: questo coefficiente dovrebbe passare nel 2013 da 60 a 65, facendo aumentare — come calcola la Cgia di Mestre — il conto dell’Imu di 952 euro per gli alberghi, di 610 per i centri commerciali, di 482 euro per i grandi capannoni e di 279 i piccoli. A livello nazionale, in valore assoluto, gli aumenti più significativi per la Cgia dovrebbero registrarsi a La Spezia (+3.647 euro rispetto al 2012), a Taranto (+1.736 euro), e a Brescia (+1.472). In sostanza, come elabora Il Sole 24 Ore, il congelamento del moltiplicatore si tradurrebbe invece in uno sconto dell’8,3% per gli imprenditori. In soldoni, per un capannone di 2 mila metri quadrati a Roma, del valore di 3.086.386 (aliquota 2012 all’1,06%), senza l’aumento del moltiplicatore l’acconto sarebbe di 16.358 euro, con un saldo di eguale importo, mentre con il ritocco l’acconto sarebbe di 17.720 euro, con un saldo identico. Per un capannone di 2 mila metri quadrati a Milano del valore di 3.415 mila euro (ipotizzando aliquota all’1,06% invariata al 2012) il mancato ritocco farebbe risparmiare 1.508 euro sull’acconto e 3.016 euro in totale, a Napoli il risparmio complessivo per un capannone di 2 mila mq del valore di 3.181.841 euro (sempre aliquota all’1,06%) sarebbe di 2.810 euro complessivi, a Bologna per un capannone delle stesse dimensioni del valore di 3.043.000 euro (aliquota 2012 1,06%, 2013 0,96%), il risparmio finale sarebbe di 2.433 euro.


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