Quindici milioni di italiani senza il conto in banca

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ROMA — Quasi il 30 per cento degli italiani non ha un conto corrente intestato, quindi non usa carte di pagamento ad esso legate, si fida poco delle banche e preferisce pagare in contanti. Probabilmente le persone che nascondono una vita di risparmi sotto al materasso sono davvero poche, ma dai dati elaborati dalla Cgia di Mestre emerge il ritratto di un Paese ad evoluzione lenta, molto più lenta rispetto ai partner europei.
Considerati, infatti, gli over 15 anni, gli italiani senza conto corrente sono quasi 15 milioni, corrispondenti al 29 per cento della popolazione. Alle nostre spalle, ben distanziate, ci sono Romania e Polonia, con meno di 10 milioni di conti correnti a testa, ma Paesi dell’Est a parte — dove la percentuale rispetto alle popolazione è più alta che in Italia — negli altri Stati la quota dei cosiddetti “unbanked” è quasi irrilevante. In Francia e Regno Unito, per esempio, corrispondono al 3 per cento della popolazione, in Germania al 2.
Cifre spiegabili in parte con la ormai storica concorrenza fra le banche e i servizi finanziari postali, e con la massiccia presenza di libretti di risparmio. Se infatti i conti correnti bancari italiani arrivano al tetto dei 30 milioni, i libretti aperti alle Poste seguono a ruota superando la vetta dei 29 milioni (mentre i conti correnti postali
ammontano a 5 milioni 900 mila).
In pratica il libretto di risparmio piace ad un consumatore su due: «Spesso si tratta di pensionati — commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia — e va anche detto che in Italia, più frequentemente rispetto agli altri Paesi europei, si utilizzano conti correnti intestati ad un familiare. Ma non possiamo nemmeno disconoscere che molte persone di una certa età  e con un livello di istruzione molto basso preferiscono ancora tenere i soldi in casa, anziché affidarli ad una banca ».
E’ anche vero, continua Bortolussi, che «non poche persone diffidano delle banche per via delle spese di gestione sui conti correnti troppo elevate. Gli istituti di credito respingono le accuse attribuendo l’elevato costo al livello di tassazione raggiunto in Italia. Ma il peso — conclude — non è riscontrabile in alcun altro Paese europeo».


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