Letta: rispettare l’autonomia delle toghe

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ROMA — «L’Italia viene prima», ha ribadito ieri Enrico Letta, per rimarcare la ragione sociale del governo. E se viene prima il Paese, è chiaro che le manifestazioni di piazza, le fibrillazioni dei gruppi parlamentari, le divergenze mediatiche fra Pd e Pdl non lo toccano, almeno per il momento.
A Palazzo Chigi, per spiegare, la mettono in modo quasi matematico: fra l’azione di buon governo e le spinte centrifughe dei due primi partiti di maggioranza ci sarebbe un rapporto di proporzionalità  inversa. Maggiore sarà  la produttività  di questo esecutivo minori saranno le crisi interne ai due partiti, le dispute fra anime politiche in apparenza inconciliabili. Bisogna dunque attendere, con fiducia, i primi risultati.
Forse anche in questo modo si spiega l’infortunio del Consiglio dei ministri di giovedì scorso: l’ansia di chiudere subito su due o tre messaggi forti, da parte del capo del governo, nonostante il decreto fosse ancora in corso di definizione, era tesa a spegnere sul nascere quei focolai di polemica politica che ogni giorno continuano a dividere Pd e Pdl. «L’unico modo per neutralizzare le spaccature del Pd e del Pdl, per prevenire cortocircuiti, è riuscire ad avere un’alta capacità  di produrre provvedimenti rapidi, sentiti come efficaci da tutte le componenti della maggioranza», aggiungono i collaboratori del premier. E poco male se in alcuni casi appare un compito proibitivo, per il quale il premier non nasconde la parola «fatica», consapevole di un incarico non solo inedito, ma anche molto difficile da gestire.
Fra i due livelli, quello del governo e quello dei partiti, Letta ha voluto crearne un terzo, mediano: la consultazione costante fra esecutivo e gruppi parlamentari. Una sorta di «cuscinetto» che sarà  determinante nel dare una spinta al governo e se funzionerà , nel togliere attriti in seno ai due schieramenti, mettere il Consiglio dei ministri al riparo dalle polemiche mediatiche o elettorali, cementare un’alleanza di persone e storie diverse. Compito che avrà  anche il ritiro di oggi e domani a Spineto, nell’abbazia toscana dove i ministri si riuniranno per discutere di priorità  dell’agenda, riforme istituzionali e metodo di lavoro.
Anche per questi motivi ieri Letta non ha commentato, se non di sfuggita, e in modo molto sobrio, le dichiarazioni del Pdl e la manifestazione di Brescia. Ha solo detto: «È un valore per noi il rispetto e la difesa dell’autonomia della magistratura, qualsiasi cosa accada». Non una parola in più o in meno: il vicepremier Alfano scende in piazza, pazienza; Berlusconi avrà  i suoi slogan, le sue battaglie politicamente legittime, il governo e il suo premier hanno un altro orizzonte, il più lontano possibile da una giornata in qualche modo «elettorale» del Cavaliere.
Ieri Letta ha detto che «non ci sono alternative» alla riforma costituzionale e della legge elettorale: sarà  forse ottimista, ma è probabilmente molto sincero. Le due riforme sono un pezzo fondante del suo governo, se fallissero fallirebbe lui e con lui il progetto di «servizio al Paese» che questo esecutivo rappresenta. È il riflesso della convinzione che, almeno per il momento, non esistono alternative plausibili a una serie di provvedimenti che andranno condivisi da Pd e Pdl: solo dopo si potrà  fare un bilancio, sperando che i campanelli di allarme di queste ore non compromettano il cammino.
Del resto ieri Letta ha parlato poco ma in modo chiaro alla piazza di Berlusconi e agli slogan del centrodestra, per ribadire che la cronaca giudiziaria non può influire sul principio dell’autonomia della magistratura. Ma allo stesso tempo ha parlato in modo altrettanto netto al suo di partito: il sollievo per un Pd che ritrova una guida è il sollievo del capo del governo che sente il bisogno di ricordare ai suoi compagni che «il Pd ha fatto una scelta», che indietro non si torna, che la stagione è appunto quella del «servizio al Paese», non dello scontro con il Cavaliere.
E quasi a scusarsi ha aggiunto parole che invitano tutti, nel suo partito, a concentrarsi con realismo sulla situazione data: «Sono qui a dire quanto senta sulle mie spalle l’eccezionalità  di questa situazione, in un governo che non è quello per cui ho lottato. Ho lottato per un altro governo, non è il mio governo ideale». «Non è nemmeno il mio presidente del Consiglio ideale?», alla fine ha scherzato.
Come dire: so che non vi piace, so che avreste preferito altro, ma questa è la minestra ed è meglio l’apprezziate, visto che un’altra, al momento, non c’è.
Marco Galluzzo


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