Guatemala: Rà­os Montt a processo con l’accusa di genocidio

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Fu proprio con l’accusa di crimini di guerra che la Tigre della Malesia venne condannata a morte per impiccagione, a causa del cosiddetto massacro delle Filippine, dove furono trucidati oltre centomila civili. Durante il processo, il generale non negò il massacro ma si dichiarò estraneo ai fatti, sostenendo di non essere a conoscenza della condotta dei propri soldati. Il tribunale di Norimberga lo condannò ugualmente, “per aver omesso di controllare le operazioni dei membri del suo comando permettendo loro di commettere brutalità , atrocità  ed altri gravi crimini violando per ciò stesso le leggi di guerra”.

Facendo un salto nello spazio e nel tempo – dal Giappone del 1945 al Guatemala dei giorni nostri – la norma Yamashita sta per essere applicata ad un altro criminale di guerra. Sempre di un generale dell’esercito stiamo parlando: questa volta il protagonista é Efraà­n Rà­os Montt, colui che prese il potere nel paese centroamericano grazie ad un colpo di stato che destituì l’allora presidente in carica Fernando Romeo nel 1982.

Il generale Montt, già  membro dell’esercito nazionale nonché pastore della chiesa evangelica, mantenne il potere illegittimamente acquisito per diciassette mesi, tuttora ricordati come un periodo di rigore e terrore. Sono gli anni a cavallo tra il 1960 e il 1996, quelli terribili di una guerra civile tra le più lunghe che la storia moderna dell’America Latina possa ricordare. Il masacro di Dos Erres fu probabilmente la pagina peggiore: nel villaggio di Dos Erres, nella regione del Petén (nord del Guatemala) oltre duecento tra uomini, donne e bambini – tutti civili – furono torturati e giustiziati dall’unità  speciale dell’esercito Kaibiles, con l’accusa di collaborazionismo con i combattenti ribelli marxisti dell’Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca. Era il dicembre del 1982, periodo di presidenza di Efraà­n Rà­os Montt.

Si calcola che durante la dittatura del generale (che amava ripetere “Sono al potere per volere di Dio” a quanti contestavano la legittimità  della sua carica), oltre diecimila guatemaltechi, quasi tutti di indigeni, furono uccisi o fatti sparire in un folle piano di sterminio delle tribຠIxile e altre discendenti Maya. Oltre centomila furono i profughi in fuga nel vicino Messico. Secondo la Commissione per la verità¡ promossa dalle nazioni Unite, quello messo in atto dagli uomini armati di Rìos Montt fu nientemeno che un genocidio.

Oggi, 30 anni dopo i massacri e grazie al prezioso lavoro di ricostruzione storica non solo delle Nazioni Unite, ma anche di realtà  locali come la Oficina de Derechos Humanos del Arcivescovado guatemalteco, la ong Seguridad en Democracia e la testimonianza dei pochi sopravvissuti e dei tanti parenti delle vittime, si sta mettendo in luce la verità . Soprattutto, si sta facendo giustizia. In queste settimane, Rios Montt, sul banco degli imputati assieme all’allora capo dei servizi segreti José Mauricio Rodrà­guez Sà¡nchez, dovrà  rispondere dell’accusa di genocidio e crimini di lesa umanità . La sua difesa punta sul classico: ammettere l’assassinio di migliaia di indigeni, negando al però il proprio coinvolgimento nella repressione. In altre parole, i militari dell’esercito hanno si compiuto atrocità  di ogni genere ma il loro Generale non ne sarebbe stato a conoscenza. Come il Generale Yamashita.

A 83 anni di età  e dopo aver goduto per lungo tempo dell’immunità  parlamentare, Rìos Montt è il primo capo di stato finito sotto processo per i crimini commessi durante la guerra civile. Mentre centinaia di familiari delle vittime in corteo fuori dal tribunale chiedono giustizia, l’ex dittatore rischia cinquant’anni di carcere.

Andrea Dalla Palma


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