Immigrati, il Pdl contro Kyenge E scoppia il «caso esternazioni»
ROMA — Il governo Letta soffre per le interviste dei suoi ministri e sottosegretari. Il «caso» di ieri è Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione. Ha detto (In mezz’ora, Rai 3) che nelle prossime settimane sarà pronto un disegno di legge sullo ius soli, il diritto di cittadinanza per chi nasce sul suolo d’Italia. Ha sostenuto, inoltre, che il reato di immigrazione clandestina andrebbe abrogato. L’ex presidente del Senato, Schifani e capogruppo dei senatori Pdl, attacca: «Non si possono fare proclami solitari, questo è un atteggiamento che non tiene in alcun conto il ruolo del Parlamento e il coordinamento con i capigruppo della maggioranza». E il suo vice, Gasparri: «Il ministro sa bene che non è lei a poter decidere sul reato di immigrazione clandestina». Letta in serata ha detto a Che tempo che fa che i temi trattati dal ministro ce li ha «nel cuore». Ma, essendo temi lasciati fuori dal suo discorso alle Camere, «bisognerà trovare un’intesa».
Appena sabato c’era stato il caso Biancofiore, il sottosegretario che in varie interviste aveva detto la sua sui gay («si autoghettizzano») e aveva portato Enrico Letta a cambiarle le deleghe, dalle Pari opportunità alla Pubblica amministrazione e Semplificazione. «Biancofiore — afferma Brunetta, capogruppo Pdl alla Camera — si è schierata contro i matrimoni gay, ma non ha detto nulla contro il programma del governo». Ieri sia Schifani, sia Brunetta hanno tirato in ballo i «due pesi e le due misure»: perché, hanno chiesto, deleghe cambiate alla Biancofiore e nessun provvedimento per il viceministro Fassina? Al Tg 3 Fassina aveva bocciato inesorabilmente Berlusconi come candidato alla presidenza della Convenzione sulle riforme. «Veto odioso», secondo Schifani, che ha aggiunto: «Letta inviti i ministri a maggior cautela». «Non si fa cadere il governo per uno spostamento di deleghe — dice Renato Brunetta —. Ma la nostra pazienza non è illimitata! Letta e Alfano devono intervenire nel più breve tempo possibile. Letta ha promesso una cabina di regia tra governo e capigruppo di maggioranza: va messa in atto. Altrimenti, fra Pdl e Pd, è un abbraccio nella sala da ballo del Titanic». Vanno cambiate le deleghe anche a Fassina? «Ma no! È stato un errore cambiarle alla Biancofiore, ora non facciamo un altro errore. Ma urge una regolazione! Già sull’Imu Letta alla Camera parlò di “stop” e il giorno dopo il ministro Franceschini dichiarò: “Ci sarà solo una proroga per la rata di giugno”…».
Da Palazzo Chigi era partito venerdì scorso l’invito ai membri del governo a essere «sobri nei comportamenti e nell’uso delle parole». Per ora non c’è l’intenzione di varare regole più stringenti: il cambio di deleghe alla Biancofiore resta un segnale valido per tutti, fanno sapere i collaboratori del premier. La questione, continuano, non concerne il rilascio di interviste, ma il contenuto delle interviste.
Come da tradizione, le interviste dei nuovi ministri e sottosegretari sono state in una sola settimana dalla formazione del governo, un diluvio. E non tutte innocue o semplicemente programmatiche. Il ministro per le Riforme, Quagliariello (Pdl) ha chiesto la presidenza della Convenzione per le riforme per il centrodestra e lo stesso giorno il ministro della Difesa, Mauro (ex Pdl, oggi montiano) ha minacciato la cancellazione della Convenzione stessa, se si continuasse a litigare sui nomi. Il ministro per lo Sport, Josefa Idem, ha definito «comprensibile» un certo risentimento degli italiani nei confronti della cancelliera Merkel, proprio nel giorno in cui Letta incontrava la stessa Merkel a Berlino… A parte questi casi spinosi, culminati poi con le esternazioni del sottosegretario Biancofiore sul mondo omosessuale, si contano almeno altre sette interviste su grandi giornali a ministri che avevano appena messo piede al ministero e tre a sottosegretari. Un’antica prassi dei governanti italiani. Prodi, inaugurando il suo ultimo governo (2006) invitò i ministri a non frequentare i salotti tv, nominò — un anno più tardi — il suo portavoce Sircana «portavoce unico del governo» e finì con alcuni ministri che partecipavano alle manifestazioni contro il governo.
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