Impiego pubblico e pensioni, lo scenario greco è alle porte

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LISBONA. Nonostante sia il Pil il vero punto critico, nulla è previsto per la crescita. Ora tocca a parlamento e parti sociali provare a fare muro Dopo mesi di tentennamenti, la tempesta è arrivata. La tradizione portoghese vuole che ogni questione politica di rilievo venga annunciata il venerdì alle venti, in modo che i telegiornali, a reti unificate, possano trasmettere l’evento in diretta e il settimanale l’ Expresso , in edicola il sabato, possa dare ampio risalto alla questione.
Con aplomb quasi britannico José Passos Coelho snocciola punto a punto, quasi fosse una sentenza di morte, tutti i capitoli dove il suo governo andrà  a recuperare 5 miliardi di euro. È un momento in cui bisogna mostrare decisione, l’unico modo per salvare la patria è quello di inoculare dosi massicce di risparmi per potere tornare al più presto a finanziare il debito pubblico direttamente sui mercati, questo, dice il primo ministro, è l’unico modo per liberarsi della Troika. È a coloro che propongono misure alternative a quelle basate esclusivamente sui tagli, che Coelho dedica una parte abbondante della sua conferenza stampa. Ma l’impressione è che si stia andando avanti per una strada nella quale nessuno sembra veramente credere. Sebbene non tutti i dettagli di quei punti siano attualmente noti, ciò che si sa è sufficiente per capire che, comunque, anche in presenza di forte stabilità  politica, lo scenario greco è ormai alle porte. Senza mostrare grande fantasia, tutto il piano ruota intorno alle uniche due vere grandi ossessioni di questo governo: impiego pubblico e pensionati.
Se l’ultima manovra di Atene prevedeva il licenziamento di 15 mila dipendenti pubblici, Lisbona rilancia con un taglio di 30 mila. Il governo in realtà  non parla direttamente di licenziamenti, ma di un processo di incentivazione che porti a una riduzione consensuale tra le parti. L’abbiamo detto: la patria è in pericolo e i patrioti devono sacrificarsi per lei. L’incentivo offerto dal governo è quello di peggiorare in modo molto significativo le condizioni di lavoro nel pubblico impiego, approssimandolo, per ragioni di presunta giustizia a quello del settore privato. Anche qui la fantasia è poca, si lavorerà  di più, 40 ore anziché 35, ovviando parzialmente anche ad un drammatico problema di organico; si sarà  pagati meno, visto che verrà  ridotto il numero dei giorni di ferie e si pagherà  di più per l’Adse, la previdenza speciale del settore pubblico. Un miliardo e mezzo dovrebbe arrivare da una mungitura nel campo pensioni e pensionati. L’età  pensionabile passerà  de facto da 65 a 66 anni, cioè legalmente tutto resta uguale, ma per incoraggiare il senso patriottico dei cittadini, il governo ha deciso di punire i disertori con una consistente penalizzazione e quindi è molto probabile che tutti opteranno per lasciare il posto di lavoro un anno più tardi. Verrà  creato un unico regime previdenziale eliminando ogni «intollerabile» privilegio e, ovviamente, a fare da modello sarà  il regime meno costoso, la chiamano, eufemisticamente, convergenza. Infine c’è la reintroduzione, dopo la bocciatura da parte del tribunale costituzionale, del contributo «di sostenibilità » richiesto ai pensionati.
È vero, impiego pubblico e pensioni sono le due grandi voci di spesa, e quando si vuole “fare cassa” è lì che si deve colpire, ma è anche vero che ad incidere ancora di più sul deficit sono gli andamenti di Pil e occupazione. In questo senso le previsioni vengono costantemente riviste al ribasso, gli ultimi dati della Commissione Europea, la maggiore e più accanita sostenitrice delle politiche di austerità , indicano una discesa del Pil del 2,3%, appena poche settimane fa la previsione era di una riduzione dell’1,9%, e di una crescita della disoccupazione al 18,9%.
Detto in soldoni, e con un calcolo molto approssimativo, questo significa che il prodotto interno lordo portoghese si ridurrà  di una cifra molto simile a quella statuita nell’attuale manovra, circa 4 miliardi e che a fronte di una diminuzione dell’occupazione aumentano i costi per i sussidi e diminuiscono raccolta fiscale e consumi. Eppure, nonostante sia il Pil il vero fattore discriminante, nulla è stato fatto fino ad ora per sostenere gli investimenti e, quindi, la crescita. In presenza di economie già  strutturalmente deboli e incentrate proprio sulla dinamizzazione dei fattori produttivi prodotta dall’intervento dello stato, l’austerità  ha un unico epilogo: la bancarotta! Il dado è tratto, e ora tocca a parlamento e parti sociali a cercare di fare muro contro un provvedimento inaccettabile. I presupposti perché si possa ottenere qualche risultato ci sono tutti perché questa volta l’opposizione è tutta unita, pur con grandi distinguo tra chi è contro l’austerità , partido comunista , bloco de esquerda , e chi, come il partito socialista, è contro a questa austerità .


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