La tensione sociale monta al ritmo di settecento scioperi al mese

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IL CAIRO Una ricerca collega il boom di agitazioni al potere dei Fratelli musulmani. Anche la polizia si ferma Gli scioperi in tutto l’Egitto sono raddoppiati dopo l’elezione del presidente islamista Mohammed Morsi, rivitalizzando il movimento operaio. I lavoratori egiziani si aspettavano che oltre a «libertà  e pane» arrivasse finalmente la «giustizia sociale», ma non è andata così. Lo confermano i risultati presenti nel documento del Centro per i diritti economici e sociali (Ecesr), vicino all’ex candidato alle elezioni presidenziali Khaled Ali. Dei 3817 scioperi del 2012, la maggior parte ha avuto luogo dopo l’elezione che ha visto trionfare i Fratelli musulmani. «Tra luglio e dicembre, si sono svolti in media 452 scioperi al mese, mentre nei primi tre mesi del 2013 abbiamo raggiunto l’incredibile media di 700 scioperi al mese», ci spiega Nadim Mansour, giovane dirigente del centro di Talaat Harb, nel cuore del Cairo. «Esiste poi una chiara distinzione tra le proteste per difendere i diritti dei lavoratori o per manifestare l’opposizione al presidente e al suo governo», si legge nel report. La maggior parte delle proteste ha interessato per il 35% il settore pubblico, mentre un 5,8% ha coinvolto le amministrazioni pubbliche e il 10 aziende private. L’altra metà  delle contestazioni ha interessato cittadini comuni contro l’aumento dei prezzi, la mancanza di benzina e di elettricità .
Riguardo ai metodi di protesta, si è passati da scioperi e sit-in fino a più innovative veglie notturne, marce e manifestazioni con il blocco di strade e mezzi pubblici. «In alcuni casi, gli operai hanno fatto ricorso a scioperi della fame, all’occupazione di edifici pubblici e minacce di suicidio per le pessime condizioni di vita», continua Nadim. Ma una delle proteste che più ha segnato le strade del Cairo ha interessato le forze di polizia. «Nei mesi in cui i poliziotti hanno deciso di incrociare le braccia per i loro bassi salari, era molto difficile camminare per strada e si avvertiva un clima di estremo caos», ha aggiunto Nadia, una volontaria del Centro.
Proprio la richiesta di aumenti salariali era l’obiettivo del 36% dei lavoratori. Mentre un quinto dei contestatori è composto da disoccupati o lavoratori a tempo determinato in attesa di regolarizzazione. «Non solo, molti hanno iniziato a protestare per la corruzione dei loro capi, maltrattamenti e incapacità  organizzativa dei manager o contro la chiusura di negozi e fabbriche, registriamo un incremento significativo nella richiesta di diritti e nella consapevolezza che questi diritti devono essere conquistati», prosegue Nadim. Il Centro vicino ai movimenti socialisti egiziani, che non hanno trovato ancora rappresentanza politica nelle istituzioni, rimprovera al governo di non aver presentato una legge per i sindacati indipendenti nonostante una prima bozza fosse stata già  predisposta dall’ex ministro del lavoro, Ahmed Al-Borai. «Ma si è preferito rimpiazzare esponenti del vecchio regime con affiliati ai Fratelli musulmani», denuncia il documento.
 Inoltre, il governo non ha ancora portato il salario minimo a 1200 ghinee (150 euro circa) nonostante quanto previsto da una sentenza del 2011. A confermare l’alta tensione sociale e la rabbia montante contro la Fratellanza, un episodio inquietante ha avuto luogo ieri nella città  del Delta del Nilo, Zagazig. Un gruppo inferocito di abitanti del villaggio di El-Qataweya ha fatto irruzione della casa di Rabie Lasheen. La folla ha gettato i mobili dall’abitazione e appiccato il fuoco a tre autovetture all’esterno. Ha poi ucciso il figlio del politico, Youssef. La vittima era accusata di aver sparato a un uomo di 28 anni che aveva insultato suo padre perché apparteneva alla Fratellanza. Non è la prima volta che questo avviene nella regione operaia e contadina di Sharqeya, nella totale assenza della polizia.
Venerdì notte sono scoppiati scontri tra forze dell’ordine e manifestanti anti-Morsi anche in una piazza Tahrir completamente ripulita da tende e occupanti. I manifestanti, tra cui alcuni «black bloc» con il volto coperto contrari alla Fratellanza, protestavano davanti agli uffici del procuratore generale che aveva ordinato l’arresto di esponenti del gruppo. «Ci occupiamo spesso di arresti di giovani mascherati, ragazzi come tanti, spesso armati, ma la quantità  di armi che circola per le strade è aumentata sensibilmente», conclude Ahmed elSandabasi, avvocato dell’Ecesr.


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Il giorno più felice?

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STATO DI PALESTINA.  «Questo sarà  il giorno più felice della sua vita?» mi ha chiesto un reporter locale a proposito del prossimo riconoscimento dello Stato di Palestina da parte delle Nazioni Unite. Sono stato colto di sorpresa. «Perché dovrebbe esserlo?» ho replicato. E lui: «Beh, per 62 anni si è battuto per la nascita dello Stato palestinese accanto a Israele e ora eccolo!». «Se fossi un palestinese, probabilmente sarei felice – ho risposto – ma essendo israeliano sono piuttosto triste».
Lasciate che mi spieghi meglio.

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