Convenzione, diffidenze incrociate Maroni: allora torniamo alle urne

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ROMA — Sulla Convenzione per le riforme si continua a polemizzare benché il governo non abbia ancora chiarito come intende muoversi e si attendano per questo i primi atti, anche se una qualche traccia la si può ricavare dal documento dei saggi che erano stati incaricati dal presidente Napolitano di indicare un’agenda con le priorità  su cui lavorare. A giorni infatti il ministro Gaetano Quagliariello ne discuterà  con i colleghi del governo e poi con i capigruppo della maggioranza di larghe intese allo scopo di stendere le mozioni di indirizzo sulle quali entrambi i rami del Parlamento dovranno esprimersi.
In ogni caso, in attesa che ciò avvenga, resta alta la tensione su chi debba guidare l’organismo che dovrà  ridisegnare l’architettura dello Stato. Il Pdl fa quadrato sulla candidatura di Silvio Berlusconi (che si è autoproposto) perché, viene fatto notare, è più che legittimo che sia un esponente del centrodestra a presiederlo dopo che il centrosinistra ha occupato tutte le alte cariche istituzionali. Nel Pd le posizioni al riguardo sono articolate. Da un lato il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, si augura che «a guidarlo sia una persona in grado di unire le forze politiche e di corrispondere alle esigenze di pacificazione alle quali hanno fatto riferimento nei giorni scorsi tutti i partiti che sostengono il governo Letta». Dall’altro, ci sono esponenti come Sandra Zampa e Pippo Civati che pongono una sorta di aut aut. «È da respingere senza appello — scrivono in una nota congiunta — l’ipotesi che si proceda a una convenzione per le riforme costituzionali senza che si sia neppure acquisito il parere del gruppo parlamentare e senza che si sia svolto un solo confronto sul tema tra i deputati e i senatori». Parole che testimoniano una grande diffidenza nei confronti dei progetti di revisione. «Noi ci uniamo — puntualizzano — all’appello di quanti si stanno mobilitando nella società  per rinnovare un atto di fedeltà  alla Costituzione e per sorvegliare sul rispetto del suo impianto».
Ecco perché in questo contesto abbastanza confuso ci sia qualcuno come il governatore leghista della Lombardia, Roberto Maroni, che si interroga sulla reale volontà  di andare fino in fondo. «Se la Convenzione non parte entro la fine di giugno — argomenta — penso che la sorte del governo Letta sia segnata e sia meglio tornare subito al voto». Quelli del governo, incalza il leader del Carroccio, «devono farci sapere se sono ancora interessati, sennò cominciamo a perdere la pazienza».
Tuttavia, nella maggioranza bipartisan che sorregge l’esecutivo ci sono esponenti di entrambi gli schieramenti che invitano alla prudenza, a evitare delle contrapposizioni dato il governo è nato, tra l’altro, anche per favorire la fine di una stagione di aspra contrapposizione. Se ne fanno interpreti personaggi come Pino Pisicchio (Centro democratico), Gianclaudio Bressa (Pd), Maurizio Bianconi (Pdl) e Riccardo Nencini (Psi). Pisicchio avverte che «appare del tutto fuori luogo la diatriba su chi deve presiedere la Convenzione, quando peraltro è ancora ignoto come potrà  essere organizzata. Insomma di che cosa stiamo parlando?». Anche Bressa condivide analogo giudizio: «Mi sembra di assistere a un dibattito sulla lana caprina. Non sappiamo ancora se ci sarà  la commissione, né che poteri avrà , né quali saranno i suoi componenti. Tutta questa polemica non esiste». Bianconi invita tutti a non logorarsi sul nulla: «Non lavoriamo ai fianchi su non-problemi, come la presidenza della futura e fruibile, non meglio precisata Convenzione, a Berlusconi o sull’Imu che non è ancora in cantiere. Non prendiamoci in giro e soprattutto non tradiamo gli italiani». Sintetizza il socialista Nencini: «Finché la legge non avrà  stabilito da chi debba essere composta la Convenzione è assurdo parlare della presidenza».


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