Ucciso il procuratore del delitto Bhutto

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PIà™ di cento morti in un mese alla vigilia di un voto fondamentale. E da ieri una vittima illustre in più: Chaudhry Zulfiqar Ali, il procuratore più in vista del Paese, colui che indagava sui casi più importanti degli ultimi anni, l’omicidio di Benazir Bhutto, nel 2007, e la strage di Mumbai nel 2008. Il Pakistan precipita sempre più in una spirale di violenza e la sua instabilità , fomentata da disoccupazione, corruzione e povertà , rischia di espandersi a tutta la regione.
L’omicidio di Zulfiqar è l’ultimo tassello della serie: il procuratore stava guidando dalla sua casa di Islamabad alla corte di Rawalpindi quando una moto e un risciò hanno affiancato la sua vettura facendo partire una ventina di colpi. Il magistrato, ferito, è morto in ospedale: si salverà  invece la sua guardia del corpo.
L’omicidio, avvenuto in una capitale sotto controllo massimo in vista del voto, ha scioccato un Paese che pure sembra rassegnato alla violenza: Zulfiqar era salito all’onore delle cronache poche settimane fa quando aveva ordinato l’arresto per complicità  nella morte della Bhutto di Pervez Musharraf, appena rientrato dall’esilio per partecipare alla competizione elettorale. La mossa aveva irritato parte della potente elite militare pachistana, ancora vicina al generale-dittatore-presidente, che mai prima d’ora era stata chiamata a rispondere ad altri poteri. Il mandante del delitto potrebbe dunque essere cercato in quegli ambienti, ma anche fra i Taliban pachistani del TTP, che Zulfiqar aveva convocato in tribunale come esecutori materiali oppure fra i sostenitori di Lashkar- e-Taiba, gruppo militante responsabile degli attacchi del 2008 a Mumbai, in cui furono uccise 300 persone.
L’attacco di ieri non è stato rivendicato, ma getta un’ombra nerissima sulle elezioni previste per l’11 maggio, già  offuscate dalla violenza quotidiana. I morti nel solo mese di aprile sono stati più di cento: nel mirino degli attentatori sono finiti per lo più politici di ispirazione laica e moderata come Sadiq Zaman Khattak, ucciso ieri a Karachi mentre usciva da una moschea insieme al figlio di sei anni. Il partito a cui apparteneva il politico, Anp, è nel mirino degli estremisti, proprio perché fautore di una linea moderata.
Per vigilare sul voto il governo ha promesso lo schieramento di migliaia di uomini fra esercito e polizia, ma è difficile pensare che questo possa fermare la strage quotidiana. Lo dimostra anche l’atteggiamento del PPP, il partito della Bhutto e oggi del presidente della Repubblica, il vedovo della leader assassinata Asif Ali Zardari. Ieri i responsabili hanno annunciato che il figlio della coppia, Bilawal Bhutto Zardari, la grande speranza del PPP, quello su cui contano i militanti ancora in lutto per la perdita della madre, ha lasciato il Paese e non tornerà  per il voto, proprio a causa delle minacce ricevute.
Mai come oggi dunque il voto sembra a rischio: il partito di Musharraf ha annunciato ieri che si ritirerà  da una competizione che ritiene fraudolenta, mentre moltissimi sono i pachistani che non si recheranno alle urne temendo per la propria vita. Difficile pensare che la tornata elettorale riuscirà  a garantire al Pakistan la svolta di cui ha tanto bisogno.


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