La nuova potenza cinese e il riequilibrio americano
Uno studio che verrà pubblicato oggi dal Carnegie Endowment for International Peace (anticipato ieri dal New York Times) fa pensare che una relazione ci possa essere: nei prossimi due decenni, il gap tra le capacità militari destinate da Washington alla regione Asia-Pacifico e i muscoli di Pechino si ridurrà significativamente in aree come la costruzione di portaerei e di caccia «invisibili».Lo studio, realizzato da nove esperti del settore, è forse il più approfondito rapporto mai realizzato sulla crescita della potenza militare cinese e sui suoi effetti di lungo periodo. Dice che per il futuro prevedibile Pechino non punta a diventare una rivale globale degli Stati Uniti sul modello di quel che fu l’Unione Sovietica: ha però l’obiettivo di affermarsi come potenza regionale, militare e dunque politica, capace di rivaleggiare con l’America. Con parecchie conseguenze su quella che è l’area a maggiore crescita economica del pianeta. Innanzitutto, l’equilibrio generale degli ultimi decenni in Asia, garantito dall’egemonia americana, dovrà trovare nuove forme: è in corso e continuerà – sostiene il rapporto – un eroding balance, un bilanciamento in via di erosione, una progressiva riduzione dell’egemonia Usa dovuta alle accresciute capacità militari cinesi e all’intenzione di Pechino di essere sempre più assertiva nella sua sfera di influenza. L’anno scorso, la Cina ha investito – secondo il Sipri di Stoccolma – 157,6 miliardi di dollari in spese per la Difesa, un aumento in termini reali del 7,8 per cento. Gli Stati Uniti, invece hanno visto un calo del 6 per cento delle loro spese militari, a 682 miliardi di dollari. La dottrina Obama vuole però che i tagli al bilancio della Difesa non avvengano in Asia e dunque al Pentagono non è rimasto che ridurre le risorse destinate ad altre aree: in particolare, a conferma del legame tra emergere della Cina e impegno ridotto in Medio Oriente, le spese di Washington per gli interventi militari in Iraq e Afghanistan sono calate dai 159 miliardi del 2011 ai 115 del 2012 e si dovrebbero ridurre a 87 quest’anno. Seconda conseguenza: il cambiamento di equilibri potrebbe creare dispute anche militari, per quanto limitate: le questioni territoriali aperte dalla Cina riguardano il Giappone, l’India, l’Indonesia, la Malaysia, il Vietnam. Senza contare l’effetto destabilizzante sull’intera area che avrebbe la caduta del regime della Corea del Nord. Terzo, gli Stati Uniti, con Obama o dopo di lui, dovranno darsi una strategia meno fumosa su come gestire il loro primato nel mondo: nell’Oriente Estremo come in quello Medio.
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