La Nord Corea sfida ancora gli Usa Turista condannato ai lavori forzati

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NEW YORK — Lo scorso 3 novembre la guida turistica Kenneth Bae accompagnava un gruppo di uomini d’affari cinesi in visita nella città  di Rason quando è stato arrestato per aver scattato foto di bambini emaciati e sofferenti in territorio nordcoreano. Un «crimine» per cui ieri la Corte suprema della Corea del Nord ha condannato a 15 anni di lavori forzati il cittadino con doppio passaporto, Usa e sudcoreano, accusandolo di avere «commesso atti ostili» contro il Paese.
Una sentenza draconiana, che viene in un momento di altissima tensione tra Pyongyang e Washington, all’indomani del via libera nordcoreano a un imminente, presunto attacco nucleare contro gli Usa, lo scorso 3 aprile, in seguito alle nuove sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza Onu e fortemente caldeggiate dagli Usa per punire l’ultimo test nucleare effettuato il 12 febbraio dal regime di Kim Jong-un.
Di fronte al silenzio del dipartimento di Stato Usa sul caso, è spettato all’agenzia di stampa nordcoreana Kcna informare il mondo del suo ultimo exploit che secondo Ahn Chan-il, capo della think tank «World Institute for North Korea Studies» con base in Corea del Sud, «non è altro che un’esca di Pyongyang per ottenere una nuova visita di alto profilo nel Paese». Visita che, secondo gli analisti, accrescerebbe la statura di leader del giovane Kim Jong-un, che non si è ancora liberato dall’ingombrante ombra del padre Kim Jong-il, morto nel dicembre 2011. Proprio quest’ultimo era riuscito a far scomodare ben due ex presidenti Usa. La prima volta nel 2009, quando Bill Clinton fu costretto a recarsi nella capitale nordcoreana per chiedere il rilascio delle due giornaliste americane, Laura Ling ed Euna Lee. La seconda, nel 2010, quando Jimmy Carter ottenne la liberazione dell’insegnante e attivista cristiano Aijalon Gomes, reo di essere entrato illegalmente nel Paese.
Ma l’atteggiamento di Washington oggi è cambiato. Dopo l’insuccesso della trasferta dell’ex governatore del New Mexico, Bill Richardson, che a gennaio ha visitato la Corea del Nord insieme al presidente di Google, Eric Schmidt ma non è riuscito neanche a ottenere un colloquio con il detenuto americano, l’amministrazione Obama sembra propensa a non raccogliere la provocazione. «Chiediamo l’immediato rilascio di Bae», ha affermato ieri il portavoce del dipartimento di Stato Patrick Ventrell, mentre la portavoce di Carter, Deanna Congileo, smentiva le voci diffuse dall’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap secondo cui Carter sarebbe in partenza per Pyongyang. In assenza di una rappresentanza nel Paese, gli americani sono costretti ad appoggiarsi all’ambasciata svedese. Ma è spettato agli amici sudcoreani fornire ai media informazioni su Bae, che è nato 44 anni fa in Corea del Sud e ha studiato in Oregon prima di ottenere la nazionalità  americana e stabilirsi a Lynnwood, un sobborgo di Seattle. Cristiano devoto, Bae è un missionario che negli ultimi tempi si era trasferito in una città  al confine della Cina, Dalian, e si era già  recato in Nord Corea per dare da mangiare agli orfani.
Ufficialmente la Corea del Nord, per statuto atea, garantisce la libertà  di religione, ma nella realtà  attua una feroce repressione soprattutto nei confronti dei cristiani, visti come minaccia al regime manovrata dall’Occidente. Secondo le statistiche del dipartimento di Stato, circa 200mila individui sarebbero finiti nelle prigioni del Paese per motivi politici e religiosi. Alcuni disertori riferiscono che la distribuzione di Bibbie o le messe fatte in segreto possono portare alla condanna a morte o a dure pene nei campi di lavoro.


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